Centro Studi e Documentazione marxista
Archivio Opere Secchia, Taranto

Pubblicazioni  di Ferdinando Dubla

Riproduciamo il par.7 del saggio DA GRAMSCI A SECCHIA- Il primato dell'organizzazione nella costruzione del PCI del dopoguerra (1945-51), Quaderni del Centro Studi "Pietro Secchia", 2001, £.15.000

pubblicato da IL CALENDARIO DEL POPOLO nr.650, febbraio 2001

1921-2001: 80 anni di storia del PCI

 

 IL PARTITO DELLA ‘RINASCITA’: PER OGNI CAMPANILE UNA SEZIONE COMUNISTA

(1945/47)

 

----- Ferdinando Dubla -----

 

Il gruppo dirigente che aveva retto il PCI durante la guerra di Liberazione, giunse all'appuntamento della Conferenza d'organizzazione di Firenze nel gennaio 1947, forte di alcune convinzioni maturate negli anni precedenti e dal confronto-verifica di queste  con la strategia togliattiana:

- l'organizzazione era ciò che aveva permesso al PCd'I della cospirazione antifascista di sopravvivere e preparare le condizioni dell'insurrezione nazionale. [scheda 1]

Minata una prima volta seriamente al tornante degli anni '30, liberatasi dai freni all'azione rivoluzionaria (meglio, di ciò che in quel momento si credeva freno all'azione - il bordighismo, il frazionismo, etc. -) i difetti dell'organizzazione comunista erano anche i limiti del partito dei piccoli gruppi;

- grande  il ruolo delle avanguardie rivoluzionarie: ma queste si selezionano nell'azione diretta, non in base al dottrinarismo astratto;

- lasciato il terreno della 'guerra di movimento', il primato è all'arte politica e alla ricerca del consenso delle masse popolari: il partito nuovo deve diventare partito radicato nel popolo;

- la costruzione di un partito di massa si ha rafforzando al massimo e capillarmente l'organizzazione, migliorando cioè e sviluppando una vera politica di quadri;

- la 'guerra di posizione' non può diventare 'rendita di posizione' per gruppi dirigenti imbelli e passivi: la palude del tatticismo e dell'opportunismo la si guada con la chiarezza della prospettiva strategica (per un partito comunista il socialismo, esito non più di una rottura, ma di un processo rivoluzionario);

·        la 'democrazia progressiva' viene a costruirsi utilizzando l'esperienza dei quadri della guerra di liberazione nazionale e il partito radicato nel popolo è guidato da avanguardie che sanno trasformare la difesa in controffensiva strategica, rispondendo alle mene reazionarie e all'illegalità continua della borghesia capitalista e imperialista.

L’agitazione e la propaganda, in particolare tra le fila della classe operaia, era stato il dato costitutivo del primo periodo del PCd’I (1921/1926). La propaganda doveva essere sempre accompagnata dall’ agitazione; mentre il propagandista agiva con gli scritti (le riviste, i giornali,

le conferenze, ecc..) l’agitatore doveva operare attraverso i discorsi, i comizi, le scritte murali, gli striscioni, i manifesti e i volantini.  Il partito agip-prop era organizzato, ma la sua organizzazione rimaneva funzionale non ad un partito di massa, ma ad un partito di quadri e di piccoli gruppi, costretto poi alla clandestinità nel periodo 1926/43.

In particolare è Secchia (esponente di primo piano della direzione milanese durante la Resistenza, diventa responsabile dell’organizzazione nel 1945)  che,  subito dopo l'epopea partigiana, si propone compiti che mettono in gioco anche la capacità di quei quadri (tra cui lui stesso) di neutralizzare la spinta all'omologazione che può provenire dall'abbandono del terreno militare, dalla partecipazione ai governi di unità nazionale, dal giungere al partito di migliaia e migliaia di nuovi militanti che non hanno più l'obbligo (statuto approvato al V Congresso nel gennaio 1946) della sintonia ideale con il marxismo-leninismo; una spinta, però, qui sta la sfida più aspra, necessaria e indispensabile per costruire una forza che conti realmente nella società e non sia testimoniale e avvolta su se stessa, che sia in grado dunque non di almanaccare speculativamente sul socialismo e la rivoluzione, ma di costruirli da sè e con la propria intelligenza collettiva.

·        Organizzazione e linea politica

L'organizzazione è supportata da queste concezioni che Secchia ha quindi sempre presenti, già al V Congresso del PCI, che si tiene all'Università di Roma dal 29 dicembre 1945 al 6 gennaio 1946, [scheda 2] dove è proprio lui incaricato di aprire con il saluto augurale, segno del carisma conquistato come commissario politico delle brigate 'Garibaldi' e della fiducia e stima che ancora gli conserva Togliatti, che nel 1931, subito dopo l'arresto in aprile del giovane Secchia che preparava il IV Congresso di Colonia tra mille difficoltà e impedimenti, aveva scritto un articolo emblematico per La Vie proletarienne indicandolo come esempio positivo a tutte le leve del partito. (1)

Nel primo Congresso della liberazione, nel linguaggio formale, non si registrano grandi distinzioni tra i leaders del partito (il segretario, Longo, Secchia, Scoccimarro, ecc..), ma a nostro modo di vedere già si intravvedono quelle distinzioni che porteranno le strade di Togliatti e Secchia a divergere, al di là delle differenze complessive di personalità umane e politiche che pure pesarono e non poco nel progressivo attrito tra i due, nella stessa interpretazione della linea politica e della strategia del partito comunista. Uno dei problemi più dibattuti del momento, infatti, è la fusione con il partito socialista e per questo Longo, che fino a quel momento aveva condiviso l'intera esperienza resistenziale e di partito con Secchia, anzi, rischiando un'emarginazione strisciante per le sue posizioni fino e anche oltre l'esperienza della guerra di Spagna del 1936, esplicitamente dichiara la sua visione dell'organizzazione nella sua relazione titolata Per la creazione del partito unico della classe operaia e dei lavoratori, quando afferma che "vi è una stretta interdipendenza fra linea politica e linea organizzativa; l'organizzazione non è che lo strumento per realizzare una data linea politica e questo strumento si deve adattare alla linea politica e agli scopi che tale linea si propone, deve essere il mezzo che ci permette di raggiungere questi scopi." (2)

Interdipendenza organizzazione/tattica e struttura organizzativa come mezzo strumentale della linea, questi capisaldi avvicinano molto Longo a Togliatti e denotano una prima differenziazione con Secchia. L'organizzazione, infatti, è intrecciata e legata alla linea politica, ma anche agli stessi valori costitutivi che la sostanziano e non la formalizzano in strumentazioni tecniche di mera riproduzione applicativa di un'elaborazione che sta altrove. Il termine 'democratico' accanto a 'centralismo' non è puro orpello retorico, ma è ciò che permette alla stessa 'linea' di essere prodotta e non solo riprodotta, nell'azione e nell'iniziativa creatrice. La 'macchina organizzativa' è formata, diretta, vissuta da uomini, ai quali non si chiede disciplina ottusa e cieca, ma partecipazione convinta all'intrapresa collettiva, altrimenti, Secchia lo sa bene, tutto si tradurrebbe in attendismo e codismo.

E qui la preminenza della politica dei quadri: non ripetitori meccanici della linea, che anzi questo apre le porte al carrierismo/opportunismo, ma attori-creatori della linea stessa, tramite l'applicazione di una 'linea di massa' che renda riconoscibili al popolo le avanguardie della lotta di classe. Tra l'altro, proprio nella misura fra sè e la figura di Longo, Secchia era stato guidato dalla stessa concezione. Il ruolo assunto da 'Gallo' nella guerra di Spagna, in una situazione di 'guerra di movimento', era per lui una patente indiscussa di capo e avanguardia combattente anche agli occhi degli stessi militanti comunisti, nonostante che negli stessi anni 'Botte' (Pietro Secchia), desse prova di essere infaticabile organizzatore nelle galere e al confino fascisti. E così, quando dopo la liberazione dal confino di Ventotene il 18 agosto 1943, Novella gli prospetta la responsabilità dell'intera direzione del partito esistente nel paese, Secchia arretra e indica in Longo una figura superiore alla sua.

Ora, nel V Congresso, sia Secchia che Longo sono considerati dei dirigenti di un livello massimo subordinati alla sola leadership togliattiana, e dimostrano una capacità di analisi, tradotta in abilità organizzativa, che può fondersi con quella del segretario. Secchia nella sua relazione (Migliorare il lavoro di partito), partendo dalla relazione di Togliatti e dal suo assunto che considera costitutivo del ‘partito nuovo’ (“siamo già un partito di massa, dobbiamo acquistare anche le principali qualità di un partito di quadri”), introduce alcuni elementi di novità che saranno oggetto di dibattito congressuale, la necessità del recupero di militanti e quadri resistenti di 'estrema sinistra', la non condivisione di un'autonomizzazione delle cellule di donne dirette dalle commissioni femminili (che gli attirerà le critiche di Rita Montagnana), la sottolineatura, per lui affatto secondaria, dell'attivismo dei quadri di base del partito. Senza trionfalismi fuori luogo, con un'autocritica severa, modalità e stile di un coerente comunista marxista-leninista, Secchia inizia il suo discorso non indulgendo a perifrasi: 

"Compagne e compagni, nel mio intervento a carattere organizzativo voglio soffermarmi quasi esclusivamente sui difetti del nostro partito, su alcune deficienze e lacune del nostro lavoro. Questo mi sembra necessario per evitare che i successi ci diano alla testa, e perchè l'esame critico del nostro lavoro è necessario, indispensabile se vogliamo progredire, se vogliamo marciare avanti, se vogliamo che la nostra organizzazione sia uno strumento sempre più efficiente alla realizzazione della nostra politica." (3)

La relazione si snoda secondo i seguenti punti:

1) l'aumento quantitativo della massa di iscritti al partito non è automaticamente indice di maggior attivismo.

2) L'esigenza del piano viene dal voler rendere efficace lo strumento organizzativo, e ogni pianificazione deve essere preceduta da un'analisi componenziale che, per un partito comunista, è analisi di classe nella stessa struttura.

  3) Il partito 'nuovo' è l'esigenza di trasformare il partito della classe in partito di tutto il popolo guidato dalla classe, e questa trasformazione qualitativa la si ottiene con metodo di lavoro pianificato, tutt'uno con la linea politica:

" Noi non abbiamo ancora la sezione comunista in ogni comune. La nostra parola d'ordine: per ogni campanile una sezione comunista, non si può dire sia già del tutto realizzata." 

Per far questo è necessario "lavoro duro, minuto da pionieri, ed è questa una delle cause della inesistenza delle sezioni comuniste in molti comuni d'Italia".

  4) Liberarsi dal settarismo e dall'inattività, superare le contraddizioni in seno alla classe (sinistrismo), autodisciplina cosciente e non formale, lotta al burocratismo e 'linea di massa' anche nei confronti degli intellettuali

  5) Il partito comunista di massa, radicato nel popolo, ha bisogno della formazione e dello sviluppo di quadri adeguati quanto più aumenta in quantità: essere avanguardie significa saper dirigere la classe, dunque, studio e, soprattutto, lavoro e lotta e verifica continua dell'operato dei gruppi dirigenti, lavoro collettivo, metodo di lavoro collegiale e non accentratore, questo dà sostanza alla pianificazione secondo obiettivi e lega l'organizzazione alla politica.

 

  •   I caratteri del partito di massa

  Tutti i punti della relazione di Secchia al V Congresso, convergono in un’unica direzione: l’organizzazione senza il legame con la linea politica non può nulla, la linea politica senza l’organizzazione, rimane una mera perorazione astratta. Chi separa organizzazione e linea politica commette un errore con gravi conseguenze per il partito comunista: o il burocratismo caporalesco o uno sterile settarismo alienato dalle masse.

Il V Congresso approverà lo Statuto che all’articolo 2, tra l’altro, recita: “Ogni membro del partito è tenuto ad accettare il programma politico e lo Statuto del partito, a lavorare in una delle sue organizzazioni e a pagare regolarmente la tessera e le quote stabilite”.

Lo Statuto del V Congresso, oltre il celebre art.2, contiene notevoli elementi di innovazione organizzativa e di punti considerati irrinunciabili per l’identità e il funzionamento del partito comunista; innanzi tutto la centralità della cellula considerata “organizzazione di base del partito” nella sua duplice articolazione sul luogo di produzione e territoriale. I comitati federali definiranno le istruzioni per la militanza nell’una e/o nell’altra (art.13). Vi sono poi altri due tipi di cellula: la femminile e la giovanile, quest’ultima raggruppante i giovani al di sotto dei 25 anni e operante all’interno dei due tipi di cellula fondamentali. L’art.15 prevede il numero minimo (5) e quello massimo (200) per le cellule sul territorio, una ‘forbice’ che sarà cancellata solo con il VII Congresso del 1951.

Lo Statuto del V Congresso costituirà il modello per gli Statuti successivi, almeno quelli fino al 1956; l’unica vera e autentica cesura nel periodo 1945/1951 è che, mentre lo Statuto del V Congresso fa esplicita menzione della inammissibilità di frazioni comuniste nei sindacati, questo divieto viene eliminato dal Congresso successivo del 1948:  lo Statuto non fa che rispecchiare sia la linea politica sia le modalità organizzative proprie per poterla attuare.

Ancora nel ’47, data la crescita straordinaria del partito in quegli anni, (4) il modello ‘per cellule’ sarà il punto di riferimento organizzativo principale, presentando semmai problemi di funzionamento qualitativo, oggetto di discussione più propriamente politico. Una discussione politica che comunque avrà al centro sempre il nodo partito di massa-partito di quadri, sostenuto dal problema di un’adeguata attivizzazione degli iscritti e dal loro ottimale ed efficace impiego.

Questi punti e la valutazione della loro applicazione, saranno l’architrave anche della relazione presentata da Secchia alla III Conferenza d’organizzazione di Firenze, che ebbe luogo dal 6 al 10 gennaio 1947 e che si riuniva ad un anno di distanza dal V Congresso.

La Conferenza d'organizzazione di Firenze del gennaio 1947,  fu un momento importante per la caratterizzazione del Partito Comunista in partito di massa e si rese necessaria per dare gambe al 'partito nuovo' che Togliatti aveva impostato politicamente già al suo ritorno da Mosca nel '44. Gli esiti del processo avviato sino a quel momento non erano soddisfacenti: in particolare, scontavano la delusione per i risultati del 2 giugno 1946 (almeno, rispetto alle aspettative). E scontavano una difficoltà del PCI non tanto nel reclutamento e nel tesseramento di masse sempre più consistenti di militanti (proprio nel '47 si superarono i due milioni di iscritti), (5) ma quanto nell'adeguata preparazione dei quadri, che dovevano costituire, innanzitutto, proprio il gruppo dirigente di quella moltitudine di attivisti che arrivava al PCI per la prima volta, sull'onda del ruolo fondamentale giocato dai comunisti durante la Resistenza antifascista. 

Togliatti nel suo intervento ("Trovare la via italiana di sviluppo della democrazia e di lotta per il socialismo") rimarcava la necessità del miglioramento dei quadri per renderli adeguati alla nuova linea politica della 'democrazia progressiva',  sebbene fosse consapevole che, proprio per la fase nuova che si apriva politicamente in contrasto con le forze moderate, ci sarebbe stato bisogno di ‘serrare i ranghi’ nelle file dell’organizzazione, con il duplice scopo di aderire ‘flessibilmente’ alla realtà, ma nel contempo costruire un rapporto ‘organico’ con le masse, funzionale al consenso alla linea politica.

Nella relazione di Secchia  (‘I compiti del partito e i problemi della sua organizzazione’) l'insistenza per la qualità dei quadri, da formare e sviluppare, è intrecciata con la strategia più complessiva del partito (il nesso organizzazione/princìpi/linea politica), e quindi con l'esigenza di radicare il Partito Comunista nel popolo, facendone rimanere inalterata la fisionomia ideale e l'orizzonte della prospettiva. E, infatti, per Secchia, un mero studio della linea e delle sue scaturigini, sarebbe insufficiente: ogni militante deve divenire attivo, in una concezione leninista che,  formandolo come quadro dirigente, lo sviluppa parimenti come avanguardia nella lotta di classe, in modo che il processo rivoluzionario, da costruire con le proprie forze, venga diretto dalla classe operaia, dal proletariato e dal partito che li rappresenta; una rappresentanza che non è mai delega, ma aderenza creativa alla realtà che, soprattutto per non scadere nell'opportunismo e nel burocratismo imbelle e inattivo, ha bisogno di quadri preparati e coscienti che oppongano un formidabile 'apparecchio' (‘adeguata attrezzatura’) organizzativo alla sofisticata organizzazione del consenso delle classi dominanti.

Bando, dunque, ai metodi 'caporaleschi' e ottusamente autoritari, una delle eredità negative del partito della cospirazione; da cui però il 'partito nuovo' deve trarre linfa come capacità diretta di azione.  L' opposto della disciplina cieca e ottusa è l'indisciplina, ed entrambi sono pericoli per la capacità di organizzazione del partito: la direzione dall'alto, impedendo la critica e l'autocritica, nutrimento vitale per gruppi dirigenti che non vogliano sclerotizzarsi nelle rendite di posizione e nell'insufficiente incidenza nella realtà sociale, deve trasformarsi in 'stimolo' all'attività, facendosi carico delle esigenze della 'base', in un rapporto dirigenti/diretti, nel centralismo democratico, che ricorda molto da vicino la riflessione gramsciana al riguardo.

 

  • L’”adeguata attrezzatura”

  Quali furono, in sintesi, le principali deliberazioni di carattere organizzativo che furono prese a Firenze?:

-         la costituzione di cellule di strada e di officina con un numero di iscritti non superiore a 70, proprio per favorire la massima attivizzazione dei militanti;

-         all’interno delle cellule la formazione dei ‘gruppi di dieci’, guidate da un ‘collettore’ o capogruppo;

-         il ruolo centrale del capogruppo ‘di dieci’, con funzioni di costante verifica del lavoro svolto e della qualità dello stesso (es.: la lettura della stampa del partito, l’aumento di conoscenze e di coscienza critica che ciò comportava);

-         istituzione dei comitati regionali, dei comitati di fabbrica, comunali, di zona;

-         la creazione delle cellule giovanili e femminili.

Sempre per quanto riguarda le cellule, si stabiliva che i comitati direttivi dovessero essere composti di tre o cinque membri, che le fabbriche con più cellule creassero un comitato di coordinamento, che tutti i militanti fossero iscritti a una cellula di lavoro o di strada, che si dovesse evitare di organizzare cellule di categoria.

I Comitati regionali, non vennero subito ripristinati ed è da rilevare che solo agli inizi degli anni ‘60 vi fu uno sviluppo vero e proprio degli stessi come istanze di decentramento. Fino a quegli anni, infatti, prevalse piuttosto un ruolo dei CR come trait-d’union fra istanze di base e gruppi dirigenti nazionali, con una scarsa concezione dell’autonomia. Ne fece le spese, paradossalmente, proprio Secchia, dal 1954 al 1956 segretario regionale della Lombardia, a cui fu relegato dopo l’affare-Seniga.

 

  • Pci e guerra fredda

La Conferenza d'organizzazione di Firenze si svolse mentre ancora il partito faceva parte del governo De Gasperi, seppur senza più la presenza di Togliatti nell’esecutivo; appena dieci giorni dopo la sua conclusione, il 20 gennaio, al ritorno del leader democristiano dagli Stati Uniti, dove aveva  contrattato gli aiuti del 'Piano Marshall' con la limitazione della sovranità politica del nostro paese,  vi saranno le dimissioni del governo. Il 2 febbraio si creerà il 'tripartito' (DC,PSI,PCI), che durerà fino a maggio, l'ultimo di cui faranno parte comunisti e socialisti. L'egemonia era ormai nelle mani del partito clericale, le speranze della Resistenza si diradavano sempre più, il rimodellamento dello Stato borghese continuava in senso sempre più antipopolare e anticomunista. Negli stessi giorni di gennaio, si consumerà la scissione socialista, un pericolo che i comunisti paventano durante la Conferenza. E' l'accelerazione poderosa alla 'guerra fredda', che troverà il PCI non sufficientemente attrezzato dal punto di vista della linea politica, piuttosto che dal lato dell'organizzazione: mentre gli altri preparavano la secessione dagli interessi di classe, il PCI insisteva con la fusione socialista e 'l'unità delle forze democratiche'.

Dopo il V Congresso, la direzione del PCI aveva varato l'Ufficio di organizzazione, affidandone la responsabilità a Secchia; segretario dell'organismo era Walter Audisio, il comandante 'Valerio' che aveva giustiziato Mussolini eseguendo gli ordini del CLNAI, il 28 aprile del 1945. Si costituì anche un Ufficio Quadri centrale che fu affidato prima a Cicalini e poi a Vaia, da cui passavano trasferimenti, controllo e distribuzione dei gruppi dirigenti. Queste strutture, con la Conferenza di Firenze, avranno ulteriore slancio e importanza nel partito, tanto da suscitare i sospetti di Togliatti sulla loro troppa 'potenza':  ancora pochi mesi e Secchia si renderà pienamente conto della sua  diversa concezione del partito rispetto a Togliatti. (6)

 

NOTE

 

1) "La perdita di Secchia (riferita al suo arresto, ndr) colpisce in pari tempo la 'vecchia guardia' e la nuova generazione. Nel compagno Secchia infatti, meglio che in qualsiasi altro elemento dei nostri quadri, si era realizzato il contatto, la unità di due diversi strati di militanti e dirigenti del partito. (..) tra i giovani, egli è uno di quelli che più rapidamente hanno acquistato capacità di direzione, cioè qualità di slancio, doti di entusiasmo e di ottimismo, freddezza di giudizio ed equilibrio."  Cfr. P.Togliatti: Pietro Secchia, in La Vie Proletarienne n.61, 21 giugno 1931, f.to Ercoli, sta in Opere, vol.III(1) -1929/1935 - Roma, 1973, pp.359/60.

  2) Cfr. relazione ivi, in Da Gramsci a Berlinguer - La via italiana al socialismo attraverso i congressi del Partito Comunista Italiano, vol.II (1944/1955), Edizioni del Calendario, 1985, pp. 118/138.

  3) " [..] per conto mio il responsabile effettivo era Longo e non io. Con mio stupore Novella ribattè: 'Come, al confino non eri tu il responsabile?' 'No, lo sono stato di fatto (anche se ufficialmente lo era Scoccimarro) sino all'arrivo di Longo, ma quando arrivò Longo io sempre considerai lui come il dirigente (..) Ad ogni modo, a parte come stavano le cose al confino, personalmente ho sempre giudicato e giudico Longo più capace di me e non accetterei mai di avere una funzione superiore alla sua.' ", cfr. Archivio Secchia, 'Diari', Annali Feltrinelli- a. XIX, Milano, 1979, Promemoria autobiografico, pag.177. Nè modestia rivoluzionaria nè ingenuità politica, dunque, ma solo conseguenza delle sue concezioni politico-organizzative.

  4) Gli iscritti raggiungono nel triennio 1945-47 il tetto di oltre 2.200.000, le sezioni passano da 7.380 a 9.997, le cellule quasi raddoppiano passando da 29.230 nel 1945 a 50.033 nel 1947. Questi dati e altri di notevole importanza sono riportati in Fausto Anderlini: La cellula, in  Il Partito Comunista Italiano. Struttura e storia dell’organizzazione – 1921-1979, Fondazione G.G.Feltrinelli, Annali a.XXI (1981), Milano, 1982, pag.186.

  5) “La III Conferenza d’organizzazione iniziò i suoi lavori il 10 gennaio 1947. Al centro del dibattito era il problema di come si doveva dirigere operativamente un partito che nel giro di quattro anni (dal 1943 al 1947) era passato da circa 6.000 a circa 2.200.000 iscritti, organizzati in 8.635 sezioni e 35.400 cellule”, cfr. M. Ilardi, Sistema di potere e ideologia nel PCI: le conferenze nazionali d’organizzazione, sta in: Il Partito Comunista Italiano, op.cit, pag.14.

  6) Per le più complessive analisi di Secchia nel periodo qui esaminato si rimanda a P.Secchia: I quadri e le masse - Per un Partito Comunista radicato nel popolo,  a cura e con introduzione di Ferdinando Dubla, ed. Laboratorio politico, 1996 e al saggio di Ferdinando Dubla: A sinistra di Togliatti: Pietro Secchia (1944/1954) in  Calendario del Popolo, dicembre 1994. Materiali di consultazione anche nel sito web http://www.planio.it/linearossa/lrlink4.htm



Scheda 1

  Usciti dal PSI, i comunisti avevano introdotto, nell’organizzazione e nel costume dei rivoluzionari, sistemi nuovi che sconvolsero le vecchie concezioni dei funzionari di polizia. Ai circoli e alle sezioni socialiste, repubblicane, anarchiche e cattoliche, istituti chiaramente definiti, concreti e, soprattutto, facilmente individuabili dall’insegna, i comunisti avevano sostituito le “cellule”. (..)

Nelle colonie confinarie, e per tutta la loro durata, i comunisti furono coloro che seppero darsi l’organizzazione politica più efficiente. (pag.103)

Per i comunisti l’organizzazione era un’arte, una scienza, una disciplina con le sue regole e le sue leggi. Il partito comunista era stato il solo partito antifascista che non avesse mai rinunciato, nè prima nè dopo le leggi eccezionali, alla lotta sistematica nelle varie forme imposte dalle circostanze o dall’avversario, sul terreno propagandistico, elettorale e della violenza. (pag.104) (..)

lo schema organizzativo dei confinati comunisti fu il seguente: furono creati gruppi di cinque o sei elementi ciascuno, posti sotto la guida di un fiduciario chiamato amico. Gli amici vennero raccolti, a loro volta, in gruppi di quattro o cinque, formando così un parentado con a capo un parente, che si aveva cura di non scegliere fra gli amici. Infine, tre o quattro parenti costituivano una famiglia. (pag.105)

Le norme della cospirazione, incessantemente inculcate, esigevano che il singolo militante conoscesse dell’organizzazione soltanto ciò che era strettamente indispensabile allo svolgimento dell’attività affidatagli, in modo che nessuno potesse, per leggerezza o consapevolmente, fare indiscrezioni su quanto non lo riguardava. (pag.106)

La compattezza dei comunisti, per tutta la durata del confino, ebbe un’influenza positiva anche sugli internati di diverso orientamento politico. (..) il tono della vita confinaria era dato, in larga misura, dall’organizzazione comunista clandestina, la cui presenza si avvertiva in ogni manifestazione, per piccola e insignificante che fosse, della vita della comunità. (pag.109)

 

Da C.Ghini - A.Dal Pont: “Gli antifascisti al confino - 1926-1943”,

Editori Riuniti, 1971

 

  Scheda 2

 

Congresso di popolo si può definire il 5° Congresso del Partito Comunista Italiano, poiché i 1800 delegati ed il gran numero di invitati venuti da ogni parte d’Italia, hanno portato la voce di tutto il popolo italiano, dalla Sicilia alle Alpi, alla Sardegna.

Le delegazioni dei lavoratori e degli studenti, dei C.L.A., che si sono avvicendate alla tribuna durante lo svolgimento del Congresso per portare il loro saluto, le richieste di iscrizione al Partito, dimostrano che la politica svolta dal nostro Partito alla luce del sole, dal 1943 in poi, ha chiarito ogni dubbio, ha distrutto tutte le menzogne e le calunnie create dal fascismo nei nostri riguardi; il Partito Comunista si è mostrato come realmente è: Partito nazionale, Partito di popolo.

Dagli interventi dei delegati e dei compagni della Direzione, si è dedotto che nessun problema che interessa la vita del popolo italiano può essere estraneo al Partito Comunista, perché in esso si identificano gli interessi del popolo.

Attraverso gli interventi ha parlato tutto il popolo. Si è parlato di questioni politiche ed economiche, dell’industria e dell’agricoltura, delle particolari situazioni dei grandi centri e di quelle dei piccoli paesi, della scuola e della ricostruzione, della sanità pubblica e delle riforme, si è parlato dei problemi di carattere nazionale.

Alla stessa tribuna hanno parlato l’operaio, l’ingegnere, il contadino, l’intellettuale, l’impiegato, il professionista, l’insegnante, l’artigiano, lo studente, il professore universitario, lo scienziato, i giovani e le donne. Tutti hanno esposto con calore, liberamente il proprio pensiero, tutti hanno trattato questioni della massima importanza per la vita del nostro Paese.

L’aula magna della città universitaria ha vissuto nove giorni in un’atmosfera di vita nuova, di entusiasmo, di fratellanza, di eguaglianza, di solidarietà, di trionfo, di unità.

Nei momenti di attesa per la ripresa dei lavori, quando si dava la stura ai commenti, ai saluti, si ascoltavano cento idiomi differenti.

I combattenti per la libertà erano rappresentati largamente oltre che dai gloriosi garibaldini della guerra di liberazione e dell’insurrezione del Nord, dai combattenti di Spagna contro i fascisti di Franco e da coloro che hanno militato nelle file dei partigiani franchi tiratori in Francia contro i nazisti.

Gran numero dei delegati erano passati per le galere ed i confini fascisti. Il solo fatto che fra i congressisti condannati dai tribunali fascisti si assommava la cifra di 2394 anni di carcere e confino politico, effettivamente scontati, dà la netta sensazione che il Partito Comunista è stato il Partito che maggiormente ha lottato e sofferto durante il ventennio della dittatura fascista, per la libertà del popolo italiano.

Fin dalla mattina del 28 dicembre, Roma assunse l’aspetto vivace, festoso. L’arrivo delle delegazioni dal Sud, dal Nord, dal Centro, con i treni e le macchine imbandierate, e le vie e le piazze piene di striscioni e di manifesti che annunziavano il 5° Congresso o che porgevano il benvenuto ai congressisti, davano alla capitale una nota giuliva. E durante lo svolgimento dei lavori, nelle poche ore libere che il Congresso concedeva, dappertutto si incontravano le numerose comitive di compagni e compagne, dei quali molti indossavano la divisa di partigiano.

Chi negli anni trascorsi ha lottato, ha cospirato, ha sofferto, si può chiamare ben fortunato se ha potuto prendere parte al Congresso, che giustamente definiamo di Popolo, e che gli ha procurato giornate di gioia e di commozione.

Fiorindo Lemma

Da UNITA’ PROLETARIA , settimanale della Federazione di Taranto del Pci,anno II, nr.4 – 28 gennaio 1946
 

 

"I nostri storici devono essere coscienti della grande responsabilità del loro lavoro; essi non sono solo degli studiosi, essi sono in primo luogo dei combattenti della classe operaia, dei marxisti-leninisti militanti i quali, scrivendo la storia, assolvono una funzione importante di partito. Lo storico marxista deve ricercare la verità, distruggere le false concezioni, far risaltare la superiorità del materialismo storico quale strumento di orientamento e guida per l'azione"

Arturo Colombi, 1954

 

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