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1921-2001:
80 anni di storia del PCI
IL
PARTITO DELLA ‘RINASCITA’: PER OGNI CAMPANILE UNA SEZIONE
COMUNISTA
(1945/47)
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Ferdinando Dubla -----
Il
gruppo dirigente che aveva retto il PCI durante la guerra di
Liberazione, giunse all'appuntamento della Conferenza
d'organizzazione di Firenze nel gennaio 1947, forte di alcune
convinzioni maturate negli anni precedenti e dal confronto-verifica
di queste con la
strategia togliattiana:
-
l'organizzazione era ciò che aveva permesso al PCd'I della
cospirazione antifascista di sopravvivere e preparare le condizioni
dell'insurrezione nazionale. [scheda
1]
Minata
una prima volta seriamente al tornante degli anni '30, liberatasi
dai freni all'azione rivoluzionaria (meglio, di ciò che in quel
momento si credeva freno all'azione - il bordighismo, il
frazionismo, etc. -) i difetti dell'organizzazione comunista erano
anche i limiti del partito dei piccoli gruppi;
-
grande il ruolo delle
avanguardie rivoluzionarie: ma queste si selezionano nell'azione
diretta, non in base al dottrinarismo astratto;
-
lasciato il terreno della 'guerra di movimento', il primato è
all'arte politica e alla ricerca del consenso delle masse popolari:
il partito nuovo deve
diventare partito radicato nel
popolo;
-
la costruzione di un partito di massa si ha rafforzando al massimo e
capillarmente l'organizzazione, migliorando cioè e sviluppando una
vera politica di quadri;
-
la 'guerra di posizione' non può diventare 'rendita di posizione'
per gruppi dirigenti imbelli e passivi: la palude del tatticismo e
dell'opportunismo la si guada con la chiarezza della prospettiva
strategica (per un partito comunista il socialismo, esito non più
di una rottura, ma di un
processo rivoluzionario);
·
la
'democrazia progressiva' viene a costruirsi utilizzando l'esperienza
dei quadri della guerra di liberazione nazionale e il partito
radicato nel popolo è guidato da avanguardie che sanno trasformare
la difesa in controffensiva strategica, rispondendo alle mene reazionarie e
all'illegalità continua della borghesia capitalista e imperialista.
L’agitazione e la
propaganda, in particolare tra le fila della classe operaia, era
stato il dato costitutivo del primo periodo del PCd’I (1921/1926).
La propaganda doveva essere sempre accompagnata dall’ agitazione;
mentre il propagandista agiva con gli scritti (le riviste, i
giornali,
le
conferenze, ecc..) l’agitatore doveva operare attraverso i
discorsi, i comizi, le scritte murali, gli striscioni, i manifesti e
i volantini. Il partito
agip-prop era organizzato,
ma la sua organizzazione rimaneva funzionale non ad un partito di
massa, ma ad un partito di quadri e di piccoli gruppi, costretto poi alla clandestinità nel periodo 1926/43.
In particolare è
Secchia (esponente di primo piano della direzione milanese durante
la Resistenza, diventa responsabile dell’organizzazione nel 1945) che, subito dopo
l'epopea partigiana, si propone compiti che mettono in gioco anche
la capacità di quei quadri (tra cui lui stesso) di neutralizzare la
spinta all'omologazione che può provenire dall'abbandono del
terreno militare, dalla partecipazione ai governi di unità
nazionale, dal giungere al partito di migliaia e migliaia di nuovi
militanti che non hanno più l'obbligo (statuto approvato al V
Congresso nel gennaio 1946) della sintonia ideale con il
marxismo-leninismo; una spinta, però, qui sta la sfida più aspra,
necessaria e indispensabile per costruire una forza che conti
realmente nella società e non sia testimoniale e avvolta su se
stessa, che sia in grado dunque non di almanaccare speculativamente
sul socialismo e la rivoluzione, ma di costruirli da sè e con la
propria intelligenza collettiva.
·
Organizzazione
e linea politica
L'organizzazione
è supportata da queste concezioni che Secchia ha quindi sempre
presenti, già al V Congresso del PCI, che si tiene all'Università
di Roma dal 29 dicembre 1945 al 6 gennaio 1946, [scheda
2] dove è proprio lui incaricato di aprire con il saluto
augurale, segno del carisma conquistato come commissario politico
delle brigate 'Garibaldi' e della fiducia e stima che ancora gli
conserva Togliatti, che nel 1931, subito dopo l'arresto in aprile
del giovane Secchia che preparava il IV Congresso di Colonia tra
mille difficoltà e impedimenti, aveva scritto un articolo
emblematico per La Vie proletarienne
indicandolo come esempio positivo a tutte le leve del
partito. (1)
Nel
primo Congresso della liberazione, nel linguaggio formale, non si
registrano grandi distinzioni tra i leaders del partito (il
segretario, Longo, Secchia, Scoccimarro, ecc..), ma a nostro modo di
vedere già si intravvedono quelle distinzioni che porteranno le
strade di Togliatti e Secchia a divergere, al di là delle
differenze complessive di personalità umane e politiche che pure
pesarono e non poco nel progressivo attrito tra i due, nella stessa
interpretazione della linea politica e della strategia del partito
comunista. Uno dei problemi più dibattuti del momento, infatti, è
la fusione con il partito socialista e per questo Longo, che fino a
quel momento aveva condiviso l'intera esperienza resistenziale e di
partito con Secchia, anzi, rischiando un'emarginazione strisciante
per le sue posizioni fino e anche oltre l'esperienza della guerra di
Spagna del 1936, esplicitamente dichiara la sua visione
dell'organizzazione nella sua relazione titolata Per
la creazione del partito unico della classe operaia e dei
lavoratori, quando afferma che "vi è una stretta interdipendenza fra linea politica e linea
organizzativa; l'organizzazione non è che lo strumento per
realizzare una data linea politica e questo strumento si deve
adattare alla linea politica e agli scopi che tale linea si propone,
deve essere il mezzo che ci permette di raggiungere questi
scopi." (2)
Interdipendenza
organizzazione/tattica e struttura organizzativa come mezzo
strumentale della linea, questi capisaldi avvicinano molto Longo
a Togliatti e denotano una prima differenziazione con Secchia.
L'organizzazione, infatti, è intrecciata e legata alla linea
politica, ma anche agli stessi valori costitutivi che la sostanziano
e non la formalizzano in strumentazioni tecniche di mera
riproduzione applicativa di un'elaborazione che sta altrove. Il
termine 'democratico' accanto a 'centralismo' non è puro orpello
retorico, ma è ciò che permette alla stessa 'linea' di essere
prodotta e non solo riprodotta, nell'azione e nell'iniziativa
creatrice. La 'macchina organizzativa' è formata, diretta, vissuta
da uomini, ai quali non si chiede disciplina ottusa e cieca, ma
partecipazione convinta all'intrapresa collettiva, altrimenti,
Secchia lo sa bene, tutto si tradurrebbe in attendismo e codismo.
E
qui la preminenza della politica dei quadri: non ripetitori
meccanici della linea, che anzi questo apre le porte al
carrierismo/opportunismo, ma attori-creatori della linea stessa,
tramite l'applicazione di una 'linea
di massa' che renda riconoscibili al popolo le avanguardie della
lotta di classe. Tra l'altro, proprio nella misura fra sè e la
figura di Longo, Secchia era stato guidato dalla stessa concezione.
Il ruolo assunto da 'Gallo' nella guerra di Spagna, in una
situazione di 'guerra di movimento', era per lui una patente
indiscussa di capo e avanguardia combattente anche agli occhi degli
stessi militanti comunisti, nonostante che negli stessi anni 'Botte'
(Pietro Secchia), desse prova di essere infaticabile organizzatore
nelle galere e al confino fascisti. E così, quando dopo la
liberazione dal confino di Ventotene il 18 agosto 1943, Novella gli
prospetta la responsabilità dell'intera direzione del partito
esistente nel paese, Secchia arretra e indica in Longo una figura
superiore alla sua.
Ora,
nel V Congresso, sia Secchia che Longo sono considerati dei
dirigenti di un livello massimo subordinati alla sola leadership
togliattiana, e dimostrano una capacità di analisi, tradotta in
abilità organizzativa, che può fondersi con quella del segretario.
Secchia nella sua relazione (Migliorare
il lavoro di partito), partendo dalla relazione di Togliatti e
dal suo assunto che considera costitutivo del ‘partito nuovo’ (“siamo
già un partito di massa, dobbiamo acquistare anche le principali
qualità di un partito di quadri”), introduce alcuni elementi
di novità che saranno oggetto di dibattito congressuale, la
necessità del recupero di militanti e quadri resistenti di 'estrema
sinistra', la non condivisione di un'autonomizzazione delle cellule
di donne dirette dalle commissioni femminili (che gli attirerà le
critiche di Rita Montagnana), la sottolineatura, per lui affatto
secondaria, dell'attivismo dei quadri di base del partito. Senza
trionfalismi fuori luogo, con un'autocritica severa, modalità e
stile di un coerente comunista marxista-leninista, Secchia inizia il
suo discorso non indulgendo a perifrasi:
"Compagne
e compagni, nel mio intervento a carattere organizzativo voglio
soffermarmi quasi esclusivamente sui difetti del nostro partito, su
alcune deficienze e lacune del nostro lavoro. Questo mi sembra
necessario per evitare che i successi ci diano alla testa, e perchè
l'esame critico del nostro lavoro è necessario, indispensabile se
vogliamo progredire, se vogliamo marciare avanti, se vogliamo che la
nostra organizzazione sia uno strumento sempre più efficiente alla
realizzazione della nostra politica."
(3)
La
relazione si snoda secondo i seguenti punti:
1)
l'aumento quantitativo della massa di iscritti al partito non è
automaticamente indice di maggior attivismo.
2) L'esigenza del piano viene dal voler rendere
efficace lo strumento organizzativo, e ogni pianificazione deve
essere preceduta da un'analisi componenziale che, per un partito
comunista, è analisi di classe nella stessa struttura.
3) Il partito 'nuovo' è l'esigenza di trasformare il
partito della classe in partito di tutto il popolo guidato dalla
classe, e questa trasformazione qualitativa la si ottiene con metodo
di lavoro pianificato, tutt'uno con la linea politica:
"
Noi non abbiamo ancora la sezione comunista in ogni comune. La
nostra parola d'ordine: per ogni campanile una sezione comunista,
non si può dire sia già del tutto realizzata."
Per
far questo è necessario
"lavoro duro, minuto da pionieri, ed è questa una delle cause
della inesistenza delle sezioni comuniste in molti comuni
d'Italia".
4) Liberarsi dal settarismo e dall'inattività,
superare le contraddizioni in seno alla classe (sinistrismo),
autodisciplina cosciente e non formale, lotta al burocratismo e
'linea di massa' anche nei confronti degli intellettuali
5) Il partito comunista di massa, radicato nel
popolo, ha bisogno della formazione e dello sviluppo di quadri
adeguati quanto più aumenta in quantità: essere avanguardie
significa saper dirigere la classe, dunque, studio e, soprattutto,
lavoro e lotta e verifica continua dell'operato dei gruppi
dirigenti, lavoro collettivo, metodo di lavoro collegiale e non
accentratore, questo dà sostanza alla pianificazione secondo
obiettivi e lega l'organizzazione alla politica.
-
I caratteri del partito di massa
Tutti i punti della relazione di Secchia al V
Congresso, convergono in un’unica direzione: l’organizzazione
senza il legame con la linea politica non può nulla, la linea
politica senza l’organizzazione, rimane una mera perorazione
astratta. Chi separa organizzazione e linea politica commette un
errore con gravi conseguenze per il partito comunista: o il burocratismo
caporalesco o uno sterile
settarismo alienato dalle masse.
Il V Congresso approverà lo Statuto che
all’articolo 2, tra l’altro, recita: “Ogni
membro del partito è tenuto ad accettare il programma politico e lo
Statuto del partito, a lavorare in una delle sue organizzazioni e a
pagare regolarmente la tessera e le quote stabilite”.
Lo Statuto del V Congresso, oltre il celebre art.2,
contiene notevoli elementi di innovazione organizzativa e di punti
considerati irrinunciabili per l’identità e il funzionamento del
partito comunista; innanzi tutto la centralità della cellula
considerata “organizzazione di base del partito” nella sua
duplice articolazione sul luogo di produzione e territoriale. I
comitati federali definiranno le istruzioni per la militanza
nell’una e/o nell’altra (art.13). Vi sono poi altri due tipi di
cellula: la femminile e la giovanile, quest’ultima raggruppante i
giovani al di sotto dei 25 anni e operante all’interno dei due
tipi di cellula fondamentali. L’art.15 prevede il numero minimo
(5) e quello massimo (200) per le cellule sul territorio, una
‘forbice’ che sarà cancellata solo con il VII Congresso del
1951.
Lo Statuto del V Congresso costituirà il modello per
gli Statuti successivi, almeno quelli fino al 1956; l’unica vera e
autentica cesura nel periodo 1945/1951 è che, mentre lo Statuto del
V Congresso fa esplicita menzione della inammissibilità di frazioni
comuniste nei sindacati, questo divieto viene eliminato dal
Congresso successivo del 1948:
lo Statuto non fa che rispecchiare sia la linea politica sia
le modalità organizzative proprie per poterla attuare.
Ancora nel ’47, data la crescita straordinaria del
partito in quegli anni, (4)
il modello ‘per cellule’ sarà il punto di riferimento
organizzativo principale, presentando semmai problemi di
funzionamento qualitativo, oggetto di discussione più propriamente
politico. Una discussione politica che comunque avrà al centro
sempre il nodo partito di
massa-partito di quadri, sostenuto dal problema di un’adeguata
attivizzazione degli iscritti e dal loro ottimale ed efficace
impiego.
Questi punti e la valutazione della loro
applicazione, saranno l’architrave anche della relazione
presentata da Secchia alla III Conferenza d’organizzazione di
Firenze, che ebbe luogo dal 6 al 10 gennaio 1947 e che si riuniva ad
un anno di distanza dal V Congresso.
La
Conferenza d'organizzazione di Firenze del gennaio 1947,
fu un momento importante per la caratterizzazione del Partito
Comunista in partito di massa
e si rese necessaria per dare gambe al 'partito nuovo' che Togliatti
aveva impostato politicamente già al suo ritorno da Mosca nel '44.
Gli esiti del processo avviato sino a quel momento non erano
soddisfacenti: in particolare, scontavano la delusione per i
risultati del 2 giugno 1946 (almeno, rispetto alle aspettative). E
scontavano una difficoltà del PCI non tanto nel reclutamento e nel
tesseramento di masse sempre più consistenti di militanti (proprio
nel '47 si superarono i due milioni di iscritti), (5)
ma quanto nell'adeguata preparazione dei quadri, che dovevano
costituire, innanzitutto, proprio il gruppo dirigente di quella
moltitudine di attivisti che arrivava al PCI per la prima volta,
sull'onda del ruolo fondamentale giocato dai comunisti durante la
Resistenza antifascista.
Togliatti
nel suo intervento ("Trovare
la via italiana di sviluppo della democrazia e di lotta per il
socialismo") rimarcava la necessità del miglioramento dei
quadri per renderli adeguati alla nuova linea politica della
'democrazia progressiva', sebbene
fosse consapevole che, proprio per la fase nuova che si apriva
politicamente in contrasto con le forze moderate, ci sarebbe stato
bisogno di ‘serrare i ranghi’ nelle file dell’organizzazione,
con il duplice scopo di aderire ‘flessibilmente’ alla realtà,
ma nel contempo costruire un rapporto ‘organico’ con le masse,
funzionale al consenso alla linea politica.
Nella
relazione di Secchia (‘I
compiti del partito e i problemi della sua organizzazione’)
l'insistenza per la qualità dei quadri, da formare e sviluppare, è
intrecciata con la strategia più complessiva del partito (il nesso organizzazione/princìpi/linea politica), e quindi con l'esigenza di
radicare il Partito Comunista nel popolo, facendone rimanere
inalterata la fisionomia ideale e l'orizzonte della prospettiva. E,
infatti, per Secchia, un mero studio della linea e delle sue
scaturigini, sarebbe insufficiente: ogni militante deve divenire
attivo, in una concezione leninista che,
formandolo come quadro dirigente, lo sviluppa parimenti come
avanguardia nella lotta di classe, in modo che il processo
rivoluzionario, da costruire con le proprie forze, venga diretto
dalla classe operaia, dal proletariato e dal partito che li
rappresenta; una rappresentanza che non è mai delega, ma aderenza
creativa alla realtà che, soprattutto per non scadere
nell'opportunismo e nel burocratismo imbelle e inattivo, ha bisogno
di quadri preparati e coscienti che oppongano un formidabile
'apparecchio' (‘adeguata
attrezzatura’) organizzativo alla sofisticata organizzazione
del consenso delle classi dominanti.
Bando,
dunque, ai metodi 'caporaleschi' e ottusamente autoritari, una delle
eredità negative del partito della cospirazione; da cui però il
'partito nuovo' deve trarre linfa come capacità diretta di azione.
L' opposto della disciplina cieca e ottusa è l'indisciplina,
ed entrambi sono pericoli per la capacità di organizzazione del
partito: la direzione dall'alto, impedendo la critica e
l'autocritica, nutrimento vitale per gruppi dirigenti che non
vogliano sclerotizzarsi nelle rendite di posizione e
nell'insufficiente incidenza nella realtà sociale, deve
trasformarsi in 'stimolo' all'attività, facendosi carico delle
esigenze della 'base', in un rapporto dirigenti/diretti, nel
centralismo democratico, che ricorda molto da vicino la riflessione
gramsciana al riguardo.
Quali furono, in sintesi, le principali deliberazioni di carattere
organizzativo che furono prese a Firenze?:
-
la costituzione di cellule di strada e di officina con un
numero di iscritti non superiore a 70, proprio per favorire la
massima attivizzazione dei militanti;
-
all’interno delle cellule la formazione dei ‘gruppi di
dieci’, guidate da un ‘collettore’ o capogruppo;
-
il ruolo centrale del capogruppo ‘di dieci’, con funzioni
di costante verifica del lavoro svolto e della qualità dello stesso
(es.: la lettura della stampa del partito, l’aumento di conoscenze
e di coscienza critica che ciò comportava);
-
istituzione dei comitati regionali, dei comitati di fabbrica,
comunali, di zona;
-
la creazione delle cellule giovanili e femminili.
Sempre
per quanto riguarda le cellule, si stabiliva che i comitati
direttivi dovessero essere composti di tre o cinque membri, che le
fabbriche con più cellule creassero un comitato di coordinamento,
che tutti i militanti fossero iscritti a una cellula di lavoro o di
strada, che si dovesse evitare di organizzare cellule di categoria.
I Comitati
regionali, non vennero subito ripristinati ed è da rilevare che
solo agli inizi degli anni ‘60 vi fu uno sviluppo vero e proprio
degli stessi come istanze di decentramento. Fino a quegli anni,
infatti, prevalse piuttosto un ruolo dei CR come trait-d’union fra
istanze di base e gruppi dirigenti nazionali, con una scarsa
concezione dell’autonomia. Ne fece le spese, paradossalmente,
proprio Secchia, dal 1954 al 1956 segretario regionale della
Lombardia, a cui fu relegato dopo l’affare-Seniga.
La
Conferenza d'organizzazione di Firenze si svolse mentre ancora il
partito faceva parte del governo De Gasperi, seppur senza più la
presenza di Togliatti nell’esecutivo; appena dieci giorni dopo la
sua conclusione, il 20 gennaio, al ritorno del leader democristiano
dagli Stati Uniti, dove aveva contrattato
gli aiuti del 'Piano Marshall' con la limitazione della sovranità
politica del nostro paese, vi
saranno le dimissioni del governo. Il 2 febbraio si creerà il
'tripartito' (DC,PSI,PCI), che durerà fino a maggio, l'ultimo di
cui faranno parte comunisti e socialisti. L'egemonia era ormai nelle
mani del partito clericale, le speranze della Resistenza si
diradavano sempre più, il rimodellamento dello Stato borghese
continuava in senso sempre più antipopolare e anticomunista. Negli
stessi giorni di gennaio, si consumerà la scissione socialista, un
pericolo che i comunisti paventano durante la Conferenza. E'
l'accelerazione poderosa alla 'guerra fredda', che troverà il PCI
non sufficientemente attrezzato dal punto di vista della linea
politica, piuttosto che dal lato dell'organizzazione: mentre gli
altri preparavano la secessione dagli interessi di classe, il PCI
insisteva con la fusione socialista e 'l'unità delle forze
democratiche'.
Dopo
il V Congresso, la direzione del PCI aveva varato l'Ufficio di
organizzazione, affidandone la responsabilità a Secchia; segretario
dell'organismo era Walter Audisio, il comandante 'Valerio' che aveva
giustiziato Mussolini eseguendo gli ordini del CLNAI, il 28 aprile
del 1945. Si costituì anche un Ufficio Quadri centrale che fu
affidato prima a Cicalini e poi a Vaia, da cui passavano
trasferimenti, controllo e distribuzione dei gruppi dirigenti.
Queste strutture, con la Conferenza di Firenze, avranno ulteriore
slancio e importanza nel partito, tanto da suscitare i sospetti di
Togliatti sulla loro troppa 'potenza': ancora pochi mesi e Secchia si renderà pienamente conto
della sua diversa
concezione del partito rispetto a Togliatti. (6)
NOTE
3) "
[..] per conto mio il responsabile effettivo era Longo e non io. Con
mio stupore Novella ribattè: 'Come, al confino non eri tu il
responsabile?' 'No, lo sono stato di fatto (anche se ufficialmente
lo era Scoccimarro) sino all'arrivo di Longo, ma quando arrivò
Longo io sempre considerai lui come il dirigente (..) Ad ogni modo,
a parte come stavano le cose al confino, personalmente ho sempre
giudicato e giudico Longo più capace di me e non accetterei mai di
avere una funzione superiore alla sua.' ", cfr. Archivio Secchia, 'Diari', Annali
Feltrinelli- a. XIX, Milano, 1979,
Promemoria autobiografico, pag.177. Nè modestia rivoluzionaria
nè ingenuità politica, dunque, ma solo conseguenza delle sue
concezioni politico-organizzative.
Scheda
1
Usciti
dal PSI, i comunisti avevano introdotto, nell’organizzazione e
nel costume dei rivoluzionari, sistemi nuovi che sconvolsero le
vecchie concezioni dei funzionari di polizia. Ai circoli e alle
sezioni socialiste, repubblicane, anarchiche e cattoliche,
istituti chiaramente definiti, concreti e, soprattutto,
facilmente individuabili dall’insegna, i comunisti avevano
sostituito le “cellule”. (..)
Nelle
colonie confinarie, e per tutta la loro durata, i comunisti
furono coloro che seppero darsi l’organizzazione politica più
efficiente. (pag.103)
Per
i comunisti l’organizzazione era un’arte, una scienza, una
disciplina con le sue regole e le sue leggi. Il partito
comunista era stato il solo partito antifascista che non avesse
mai rinunciato, nè prima nè dopo le leggi eccezionali, alla
lotta sistematica nelle varie forme imposte dalle circostanze o
dall’avversario, sul terreno propagandistico, elettorale e
della violenza. (pag.104)
(..)
lo
schema organizzativo dei confinati comunisti fu il seguente:
furono creati gruppi di cinque o sei elementi ciascuno, posti
sotto la guida di un fiduciario chiamato amico. Gli amici
vennero raccolti, a loro volta, in gruppi di quattro o cinque,
formando così un parentado con a capo un parente, che si aveva
cura di non scegliere fra gli amici. Infine, tre o quattro
parenti costituivano una famiglia. (pag.105)
Le
norme della cospirazione, incessantemente inculcate, esigevano
che il singolo militante conoscesse dell’organizzazione
soltanto ciò che era strettamente indispensabile allo
svolgimento dell’attività affidatagli, in modo che nessuno
potesse, per leggerezza o consapevolmente, fare indiscrezioni su
quanto non lo riguardava. (pag.106)
La
compattezza dei comunisti, per tutta la durata del confino, ebbe
un’influenza positiva anche sugli internati di diverso
orientamento politico. (..) il tono della vita confinaria era
dato, in larga misura, dall’organizzazione comunista
clandestina, la cui presenza si avvertiva in ogni
manifestazione, per piccola e insignificante che fosse, della
vita della comunità.
(pag.109)
Da C.Ghini - A.Dal Pont: “Gli
antifascisti al confino - 1926-1943”,
Editori Riuniti, 1971
Scheda
2
Congresso
di popolo si può definire il 5° Congresso del Partito
Comunista Italiano, poiché i 1800 delegati ed il gran numero di
invitati venuti da ogni parte d’Italia, hanno portato la voce
di tutto il popolo italiano, dalla Sicilia alle Alpi, alla
Sardegna.
Le
delegazioni dei lavoratori e degli studenti, dei C.L.A., che si
sono avvicendate alla tribuna durante lo svolgimento del
Congresso per portare il loro saluto, le richieste di iscrizione
al Partito, dimostrano che la politica svolta dal nostro Partito
alla luce del sole, dal 1943 in poi, ha chiarito ogni dubbio, ha
distrutto tutte le menzogne e le calunnie create dal fascismo
nei nostri riguardi; il Partito Comunista si è mostrato come
realmente è: Partito nazionale, Partito di popolo.
Dagli
interventi dei delegati e dei compagni della Direzione, si è
dedotto che nessun problema che interessa la vita del popolo
italiano può essere estraneo al Partito Comunista, perché in
esso si identificano gli interessi del popolo.
Attraverso
gli interventi ha parlato tutto il popolo. Si è parlato di
questioni politiche ed economiche, dell’industria e
dell’agricoltura, delle particolari situazioni dei grandi
centri e di quelle dei piccoli paesi, della scuola e della
ricostruzione, della sanità pubblica e delle riforme, si è
parlato dei problemi di carattere nazionale.
Alla
stessa tribuna hanno parlato l’operaio, l’ingegnere, il
contadino, l’intellettuale, l’impiegato, il professionista,
l’insegnante, l’artigiano, lo studente, il professore
universitario, lo scienziato, i giovani e le donne. Tutti hanno
esposto con calore, liberamente il proprio pensiero, tutti hanno
trattato questioni della massima importanza per la vita del
nostro Paese.
L’aula
magna della città universitaria ha vissuto nove giorni in
un’atmosfera di vita nuova, di entusiasmo, di fratellanza, di
eguaglianza, di solidarietà, di trionfo, di unità.
Nei
momenti di attesa per la ripresa dei lavori, quando si dava la
stura ai commenti, ai saluti, si ascoltavano cento idiomi
differenti.
I
combattenti per la libertà erano rappresentati largamente oltre
che dai gloriosi garibaldini della guerra di liberazione e
dell’insurrezione del Nord, dai combattenti di Spagna contro i
fascisti di Franco e da coloro che hanno militato nelle file dei
partigiani franchi tiratori in Francia contro i nazisti.
Gran
numero dei delegati erano passati per le galere ed i confini
fascisti. Il solo fatto che fra i congressisti condannati dai
tribunali fascisti si assommava la cifra di 2394 anni di carcere
e confino politico, effettivamente scontati, dà la netta
sensazione che il Partito Comunista è stato il Partito che
maggiormente ha lottato e sofferto durante il ventennio della
dittatura fascista, per la libertà del popolo italiano.
Fin
dalla mattina del 28 dicembre, Roma assunse l’aspetto vivace,
festoso. L’arrivo delle delegazioni dal Sud, dal Nord, dal
Centro, con i treni e le macchine imbandierate, e le vie e le
piazze piene di striscioni e di manifesti che annunziavano il 5°
Congresso o che porgevano il benvenuto ai congressisti, davano
alla capitale una nota giuliva. E durante lo svolgimento dei
lavori, nelle poche ore libere che il Congresso concedeva,
dappertutto si incontravano le numerose comitive di compagni e
compagne, dei quali molti indossavano la divisa di partigiano.
Chi
negli anni trascorsi ha lottato, ha cospirato, ha sofferto, si
può chiamare ben fortunato se ha potuto prendere parte al
Congresso, che giustamente definiamo di Popolo, e che gli ha
procurato giornate di gioia e di commozione.
Fiorindo
Lemma
Da
UNITA’ PROLETARIA , settimanale della Federazione di Taranto
del Pci,anno II, nr.4 – 28 gennaio 1946
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