IL PARTITO E IL DIBATTITO
IL PROBLEMA ORGANIZZATIVO
Di che partito comunista abbiamo bisogno? Abbiamo bisogno di un partito consapevole sul piano teorico e che lotti in modo organizzato, che sappia legare le lotte parziali ad una strategia rivoluzionaria complessiva. Abbiamo bisogno di un partito marxista e leninista
----- Hans Heinz Holz -----
Con ciò siamo giunti all’ultimo punto, che resta brevemente da
trattare, ovvero, quello delle conseguenze delle nostre considerazioni;
infatti, non ci siamo qui riuniti per avere una discussione seminariale
sulla situazione storica mondiale allo scopo di poter dire, alla fine con
soddisfazione, “ecco come stanno le cose!”: il nostro scopo, invece, è
trarre conclusioni operative da quanto diciamo. Le nostre, insomma, sono
riflessioni teoriche, a cui siamo non contemplativamente, ma politicamente
interessati: noi ci manteniamo fermi al postulato dell’unità teoria-prassi.
Posta la situazione che abbiamo delineato, quali ne sono le conseguenze
organizzative per un rnovimento socialista, comunista?
Secondo Hans Luft due sono i binari lungo i quali muoversi; il primo
corre entro i confini dell’esistente società capitalistica: è
il binario lungo il quale si muove il PDS, che ha una presenza parlamentare
ed opera attenendosi a margini di manovra interni alla società capitalista,
per cui possiamo lasciar cadere la domanda di quanto effettivo spazio di
rnanovra.le forze dominanti possano lasciargli. Naturalmente, un partito
deve lottare, con la migliore efficacia possibile, all’interno dell’ordine
sociale esistente, confrontandosi con i processi sociali che in esso si
svolgono, nell’interesse di quanti il partito rappresenta e vuole indirizzare.
Insomma, il partito deve sapersi muovere su un terreno, che noi diciamo
“sindacale” oppure riformistico. Questo è del tutto chiaro.
In una situazione non rivoluzionaria, il binario delle riforme interne
al capitalismo è l’unica linea possibile ai comunisti – il che significa
un oscuro, quotidiano ed instancabile lavoro politico, il quale conduce
là dove è lo scopo ultimo della nostra azione. Questo si
capisce da sé.
Ciò che, invece, non si capisce da sé è l’attenersi
contemporaneo al secondo binario, quello della nostra volontà rivoluzionaria.
Al fondo di ogni attività riformatrice, interna a questa società;
sottesa ad ogni tentativo di limitare il dominio della classe dirigente
e le pratiche disumane del capitale, deve comunque restar desta la consapevolezza
che non si tratta di migliorare questo o quell’aspetto della società
attuale per ottenere finalmente che tutto sia in ordine; piuttosto, l’obiettivo
è rovesciare questa società.
L’apparente successo del capitalismo non deve farci dimenticare che
viviamo nell’epoca della sua disintegrazione e superamento. Il che significa:
al di sotto dell’interno processo dei piccoli, continui cambiamenti
– che riconosciamo nella società ed a cui contribuiamo -, deve mantenersi
la consapevolezza che questa società in quanto tale – così
come essa è – né può essere mantenuta in piedi attraverso
le riforme, né varrebbe la pena di mantenerla in piedi ma che, piuttosto,
il compito è “togliere”questa società mediante un’altra,
la socialista, che dell’attuale è la negazione determinata.
Fin quando si vive in una fase di piccoli cambiamenti e di riforme
e finché la necessità politica impone di contenere in questi
limiti la lotta, è un problema di formazione teorica quello
di mantener desta negli aderenti ad un partito ricoluzionario (che, però,
non ha da dirigere alcuna rivoluzione) la coscienza di quale sia l’effettivo
scopo ultimo, insomma, di quale sia il radicale mutamento sociale che si
persegue; è suo compito far avvertire costantemente lo scarto tra
la pratica quotidiana e l’obiettivo di lungo periodo – ma non solo lo
scarto, bensì anche la sua intollerabilità.
Liberiamoci da ogni illusione! In una fase storica di riforme,
la prospettiva politica, che realisticamente si offre alle masse, è
solo quella “socialdemocratica”. Riuscire a mantenere viva la tensione
interna, che può condurre la politica riformistica dei piccoli passi
all’accoglimento di più radicali finalità rivoluzionarie
- e riuscire a far ciò, senza lasciarsi invischiare nelle
maglie del riformismo – è un compito dell’avanguardia, la quale,
facendosi forte della propria chiarezza teorica, può riuscire a
divenire quel punto di coagulo, in cui sempre più possano raccogliersi
uomini, sulla base del crescente approfondirsi delle contraddizioni interne
alla società presente.
Mantenersi avanguardia non sporcata da compromessi, anche al
prezzo di restare per lungo tempo minoranza numericamente insignificante,
è compito storico di un partito comunista.
Una linea teorica combattiva è momento ineliminabile della politica
dei comunisti. Il superamento del capitalismo mediante una società
alternativa deve essere, in ogni caso, l’obiettivo strategico, che funga
da presupposto per quanti, vivendo e soffrendo in questa società,
si impegnano – tatticamente – nella ricerca di mutamenti e correzioni
da apportare pur all’interno di questa stessa società.
Si tratta di una lotta, che si dispone su vari piani. L’esperienza
fatta delle strutture burocratiche e antidemocratiche che, presenti nei
Paesi una volta socialisti, ha condotto spesso ad una raffigurazione idealistica
della democrazia parlamentare borghese ed a considerare le sue istituzioni
come l’unico scenario della lotta politica.
Al contrario, noi dobbiamo vedere nella democrazia parlamentare borghese,
per come essa è nata e per come si è trasformata, la forma
di organizzazione statuale, che corrisponde agli interessi dei gruppi di
potere; dobbiamo renderci conto che, nell’ambito di tale democrazia, l’universale
partecipazione dei cittadini alla vita dello Stato non costituisce affatto
il momento decisivo.
I grandi Stati - nei quali ogni cinque anni i cittadini si recano alle
urne a scegliere i loro rappresentanti (in realtà, già designati
nelle liste di partito) – rappresenta solo un minimo livello di coinvolgimento
e partecipazione dei cittadini alla formazione della volontà
politica. In Paesi come la Svizzera e l’Olanda la situazione muta di poco,
solo di poco.
In Svizzera, perché esiste anche la diretta democrazia referendaria
che, ora, - sotto la pressione della Comunità europea, che potrebbe
avocare a sé molte funzioni – corre il pericolo di essere revocata
(e si sta lavorando in questo senso).
All’interno di questa forma di ordinamento, vi è stata
finora la possibilità di promuovere iniziative dal basso; come anche
una democrazia comunale eccezionalmente ben funzionante, dato che - a confronto
dei grandi Stati centralistici -in Svizzera, i comuni hanno una gamma di
competenze ben più ampie. Non è questa, però, la regola
della democrazia borghese; lo è, invece, quella degli Stati fortemente
centralizzati, dato che – ovviamente – non sono situazioni eccezionali
che possono fornire i criteri di valutazione di tale democrazia.
Piuttosto, bisogna osservare come tale democrazia funzioni in grandi
Stati, quali la Germania, l’Inghilterra, la Francia, l’Italia, gli USA,
dove i processi decisionali si volgono anonimamente ed il potere dei grandi
gruppi sfugge ad ogni controllo.
Da quanto detto ricaviamo che quella parlamentare e borghese non offre
certo un modello di democrazia partecipativa.
Oltre a ciò, va detto che la democrazia parlamentare è
sottoposta costantemente al potere della burocrazia ministeriale.
I parlamentari ed i ministri non sanno pressocchè nulla di tutte
le complessità in materia di amministrazione e di attività
legislativa: chi effettivamente ha in mano la produzione di leggi e, dunque,
è in condizione di influenzare i processi sociali è la burocrazia
ministeriale, che nel migliore dei casi è supportata da esperti,
il cui punto di vista politico non ha alcuna importanza. Come si vede,
tutto ciò non ha nulla a che spartire con la partecipazione democratica.
Credo che la democrazia parlamentare venga valorizzata come medio per
la costruzione di una volontà generale e, dunque, come lo scenario
della lotta politica degli oppressi, quando la si concepisce come la forma
di movimento della libertà politica.
La battaglia - che noi, da comunisti, dobbiamo condurre - ha
da cominciare con lo sviluppare poco a poco una coscienza di classe, a
partire da quei punti, in cui si riannodano con chiarezza i conflitti di
questa società; ciò non significa solo lottare per la soluzione
di questo o quel conflitto, ma anche – e più ancora – legare a ciò
un ampliamento della consapevolezza che ogni conflitto determinato non
è altro che un aspetto particolare, in cui si esprime una più
ampia connessione sociale e che solo dal modo in cui si inserisce in questa
più ampia connessione il problema particolare riceve il suo senso.
Non si tratta solo di combattere, ad es., questa o quella progettata installazione
atomica, bensì un’intera prospettiva politica. Naturalmente la singola
lotta è pur giusta, ma più ancora lo è legarla alla
lotta contro l’insieme dei rapporti sociali a cui rimanda.
Per poter fare ciò, abbiamo bisogno di una valutazione teorica
della situazione storica, in cui ci troviamo; in altre parole, abbiamo
bisogno di un partito consapevole sul piano teorico e di lottare in modo
organizzato.
La linea politica ed i suoi obiettivi non possono essere il frutto
dell’opinione personale di questo o di quello; naturalmente gli obiettivi
della lotta devono essere discussi, ma perché la volontà
politica possa acquistare forza è necessario che si traduca in organizzazione
politica.
Per evitare equivoci: on sto parlando di una forma organizzativa
con tutte le deformazioni, apportate da un apparato burocratico e che noi,
purtroppo, ben conosciamo; sto parlando, piuttosto, di un autentico partito
comunista, capace di condurre la lotta di classe, il cui apparato sia sottoposto
al controllo dei militanti.
Insomma, un partito democratico che, però, non si diluisca in
un pluralistico club di discussori, ma che sia piuttosto dotato di una
sicura capacità organizzativa e di lotta, sulla base appunto della
sua interna democrazia.
Pur in quanto piccola minoranza – come in questa società siamo
-, non possiamo sottrarci al compito di dare una precisa forma organizzata
al nostro fare politico, se vogliamo riuscire ad essere il punto di coagulo
di più larghi movimenti sociali ed il riferimento di un più
ampio numero di persone.
In breve, abbiamo bisogno di un Partito marxista e leninista.
Da Comunisti oggi – Il Partito e i suoi fondamenti teorici, La
Città del Sole, 1999, pp. 137/141
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(ottobre-novembre
2000)