linea Rossa
(nr.16 - luglio-agosto 2000)

 

IL PARTITO E IL DIBATTITO



L' intervento Ferdinando Dubla alla Conferenza di Organizzazione PRC Taranto
Salone degli Stemmi della Provincia, 24 giugno 2000

QUALE ORGANIZZAZIONE PER QUALE LINEA POLITICA

Stile di lavoro, metodo di direzione, direzione collegiale e dipartimentazione nel partito comunista


Nelle conferenze d’organizzazione del partito comunista, il tema dominante deve e non può non essere la funzionalità degli organismi dirigenti, l’attivismo dei quadri e la loro formazione, la partecipazione dei militanti e degli iscritti, la vita delle sezioni, la composizione sociale del partito, ecc.. Con due belle tipiche espressioni, lo stile di lavoro e il metodo di direzione. Così è stato nella tradizione del Partito Comunista Italiano; nella migliore tradizione del PCI; ma, come già in quella tradizione, la domanda di fondo da cui partire è la seguente: quale organizzazione per quale linea politica, quale organizzazione per il raggiungimento di quali obiettivi strategici, quale organizzazione per quale analisi di fase e relative tattiche e strategie del partito? Fu così nel 1947, alla III Conferenza d’Organizzazione di Firenze, - l'organizzazione era ciò che aveva permesso al PCd'I della cospirazione antifascista di sopravvivere e preparare le condizioni dell'insurrezione nazionale. In quel momento i difetti dell'organizzazione comunista erano anche i limiti del partito dei piccoli gruppi; l’insegnamento che ci è venuto da quella tradizione:
- la costruzione di un partito di massa si ha rafforzando al massimo e capillarmente l'organizzazione, migliorando cioè e sviluppando una vera politica di quadri;
- la 'guerra di posizione' non può diventare 'rendita di posizione' per gruppi dirigenti imbelli e passivi: la palude del tatticismo e dell'opportunismo la si guada con la chiarezza della prospettiva strategica (per un partito comunista il socialismo, esito non più di una rottura, ma di un processo rivoluzionario);
dunque
Stile di lavoro/metodo di direzione, ma per la linea politica. Oggi il Prc è impegnato in un dibattito che deve ancor più investire tutto il corpo dell’organizzazione: per quanto mi riguarda, interpreto l’analisi sulla fine del centrosinistra, il seppellimento di questa formula con cui i gruppi dominanti hanno governato o tentato di governare la conflittualità sociale e la transizione politica, e la strategia per una sinistra plurale, come una strategia che ha bisogno di due precondizioni indispensabili:
- la costruzione, lo sviluppo e l’unità d’azione della sinistra antagonista
- il rafforzamento e il radicamento, non disgiunto da un’identità più accentuata e marcata, del progetto della rifondazione Comunista; dunque un bisogno maggiore, non minore, del partito comunista di quadri e di massa radicato nel popolo.
E qui a Taranto ne abbiamo la riprova.
Taranto e i processi di modernizzazione capitalista che ci riportano alla prima rivoluzione industriale in termini di sfruttamento dei lavoratori; altro che new economy!
Taranto e i processi di populismo demagogico: meglio la delega che la partecipazione, meglio credere nelle virtù terapeutiche dell’uomo forte piuttosto che affermare la propria soggettività di classe; tranne poi che svegliarsi una mattina, quella di due mesi fa, e ritrovarsi il grosso Masaniello detronizzato dalla lady di ferro, da colei che parla, sa parlare e si presenta bene, che curerà look e immagine come sua della città, che da due mari, operaia e inquinata, diventerà dei due volti, un Giano bifronte, da una parte gli altoforni dell’Ilva e il suo ‘mobbing’ e dall’altra le sfavillanti convention e il salotto buono da mostrare come i gioielli di famiglia.
Taranto e la cultura: una città in cui fare e produrre cultura sembra ormai sinonimo di due cose: le amene manifestazioni tra il pirotecnico e il folcloristico di pessimo gusto e la delega ai baronati universitari per quanto riguarda la ricerca, naturalmente asservita alle esigenze produttive. E intanto gli storici locali, gli studiosi, i certosini che pazientemente tengono in vita, con la loro passione, un’identità collettiva sempre più calpestata dai processi di globalizzazione e americanizzazione, per loro non c’è spazio, a meno che non si occupino della fetta di Medio Evo presente in questa falsa modernizzazione e si dedichino ai riti religiosi collettivi, l’unica ancora di identità possibile. Non parliamo poi degli storici del movimento operaio, una specie in estinzione da ridurre all’afasia e all’impotenza.
Taranto e l’americanizzazione non più come metafora di civiltà, come in «Americanismo e Fordismo» di Gramsci, ma come delega a forze tecnocratiche come la società americana a cui è stata appaltata, come primo atto significativo della nuova giunta Di Bello, la progettazione e lo sviluppo, il ridisegno urbanistico e produttivo della città.  E noi che continuiamo a pensare che questo sia un diritto/dovere dell’intero popolo tarantino!!  Espropriati chissà quante volte del nostro territorio: i nuovi Pirro si chiamano militarizzazione, poi monocultura dell’acciaio e ora tecnocrazia manageriale dei ricchi e forti della globalizzazione. Oggi il politico che impersona la Di Bello è l’amministratore dei poteri forti. Non più il politico che media gli interessi dei poteri forti rendendoli egemoni ai bisogni delle masse popolari: questa era l’architettura democristiana del capitalismo assistenzialistico di Stato. No: oggi si amministrano direttamente gli interessi. E siccome il politico non ha competenze settoriali, ecco comparire gli staff. Lo staff della nuova giunta polista di Taranto è di prima grandezza: vecchi socialisti riciclati, spezzoni di ceto politico che si credeva decomposto per sempre, city manager (da campagna-acquisti: ingaggio dai 150 milioni della Provincia a 250 del Comune), tecnocrati da ‘master continuo’, e pure il fratello della lady, perchè il profitto (in questo caso dovrebbe essere il profitto sociale) non può fermarsi davanti agli imperativi morali. Imperativi morali? E poi bisogna pagare le cambiali contratte in campagna elettorale! E così che i nuovi padroni della città drenano risorse pubbliche, denaro della collettività a favore dei padroni di sempre! Altro che libero mercato! (Per inciso, questa operazione costerà 1.500.000.000 alle tasche esangui dei tarantini).
Queste operazioni dovrebbero poi essere coperte malamente appunto dall’amministrazione del potere: e così, come già nell’era-Cito, ordinaria amministrazione a copertura degli affari pompata come straordinaria dal barocco scenografico delle inaugurazioni di pezzi di strada e dalle multe per le cacche dei cani.
E mentre questi fenomeni ci accadono sotto gli occhi, il partito dov’era e dov’è? [Ci sarebbe certo da dire prima: quanto la sinistra moderata e governista, compatibile e concertazionista, abbia di responsabilità in questa situazione. Tante, tantissime, soprattutto perchè ha risposto ai processi della destra vecchia e nuova con un’etica della legalità che a troppi strati popolari, subalterni è apparsa fuori tempo massimo, quando non estranea non perchè ingiusta, ma perchè inutile e soprattutto etica del non-cambiamento, della non-trasformazione, soprattutto delle non-risposte ai propri bisogni. Citare il caso del rapporto DS-Taranto solidale] Nonostante questo, i comunisti devono innanzittutto operare il loro bilancio critico dell’esperienza. E’ quello che stiamo cercando di fare.
Espropriati del grande PCI degli anni ‘70, la prima Rifondazione ci ha lasciato in eredità un vuoto difficilmente colmabile; un vuoto che prima era riempito dal ‘socialismo’ in un paese solo, Montemesola e poi via via dagli opportunismi che un ceto politico autoreferenziale e turpemente dispotico aveva messo in essere per occupare lo spazio politico ‘naturale’ e ‘fisiologico’ di Rifondazione. Colpe che è compito del nostro, di questo gruppo dirigente del partito espiare. Come? Con l’iniziativa politica di massa, bandendo l’opportunismo, la rissosità, la litigiosità dalle nostre fila; il personalismo senza opzioni politiche che dobbiamo estirpare come una mala pianta che impedisce al Prc di decollare, prima che come forza organizzata, nel sentimento delle masse.

E’ in ragione di questa pesante eredità che non possiamo, noi, commettere gli stessi errori. L’accentramento delle decisioni non è solo strozzatura della democrazia, ma è scarsamente funzionale. Non è giusto, ma quand’anche: a che serve?
Allora: Direzione collegiale e dipartimentazione, come un laboratorio con le finestre spalancate: le massime aperture del partito comunista, politiche e sociali, sono possibili solo e a condizione che esso si radichi sempre di più e sempre meglio nel territorio, nei luoghi di lavoro, nei luoghi di elaborazione e nelle istituzioni.
Queste ultime devono essere considerate delle risorse, delle possibilità per far irrompere i bisogni di classe nei luoghi decisionali. (caso Belleli)
Che irrompa questo o quel personaggio, da aggiungere alla lista del ceto politico, in rapporto conflittuale perenne con la base della propria organizzazione, è una possibilità che ci dobbiamo lasciare alle spalle come malattia esantematica.
Realtà tarantina – stato del partito cittadino
Vedi Pci Taranto del dopoguerra (degli Odardo Voccoli, Giuseppe Latorre, Nicola De Falco) terza pugliese, ma sesta dell’intero Mezzogiorno (in termini assoluti). In termini relativi, in rapporto alla popolazione, è seconda solo a Catanzaro

Il progetto (ristrutturazione, cellula di fabbrica)
Il coordinamento cittadino: sua importanza, ruolo che deve assumere, equilibrio complessivo del partito, necessità per la città.
Non obiettivo politico lontano, ma da praticare qui, subito e ora, almeno nelle sue linee portanti e progettuali.

Dotarsi di strumenti di informazione interni ed esterni.
Stato dell’informazione nella città di Taranto: allarme per il servilismo ruffiano e accondiscendente.
Diffusione Liberazione e Feste di Liberazione

Secchia alla Conferenza d’Organizzazione del Pci nel 1947 (Firenze) fece appello all’impegno attivistico dei quadri per modificare le disparità: «Queste differenze, questi grandi sbalzi dipendono anche dal nostro lavoro e dalla qualità dei quadri di cui disponiamo. Noi siamo convinti che l’uomo e il suo lavoro, specie se è comunista, può modificare anche le situazioni oggettive».

Fluttuazione degli iscritti (dati Taranto): l’opportunismo allontana molti quando non ottengono i favori personali che li avevano indotti a iscriversi: dunque c’è anche un’incapacità nostra di fornire al (nuovo iscritto) una formazione e un compito di lavoro concreto.

Un’adeguata coscienza è elemento necessario di un adeguato agire.
La valutazione di una situazione vale come linea di marcia per una organizzazione se, almeno nei tratti fondamentali, è condivisa con piena convinzione dei suoi militanti, tanto da esser pronti ad impegnarsi nella linea politica conseguente. Se questo non accade, se la linea politica scende «dall’alto», in base ad astratte elaborazioni soggettive, è destinata a non essere applicata, neanche dopo esortazioni risolute ad applicarla. Perché elaborazioni ed analisi possano condurre alla trasformazione rivoluzionaria della vita e della società, è necessario che si integrino nella prassi politica e che vengano continuamente sottoposte alla verifica dell’esperienza politica.
Ogni attivista di partito deve rendersi «intellettuale organico» della classe lavoratrice, come diceva Gramsci: il partito è il luogo in cui si realizza una compenetrazione di teoria e prassi, nella stessa misura in cui la vita di partito si svolge con l’attiva partecipazione dei militanti; è il luogo, in cui si impara dall’esperienza, si costruisce la teoria, la si modifica e la si collega alla pratica ed in cui dalle generalizzazioni teoriche si ricavano conseguenze politiche.
Va da sé che forza ed efficacia di una qualunque organizzazione di partito dipendono dal grado di attività dei suoi militanti e cercar di promuovere l’impegno pratico degli uomini, certamente, è impresa destinata all’insuccesso, se essi fanno riferimento ad una moralità astratta.

Se si abbassa la motivazione ideale, se il dibattito politico si rabbassa a personalismo o risulta inesistente, se la tensione ideale e politica scema nella routine abitudinaria  di una prassi insussistente che fa scomparire le ragioni del militare collettivamente in un organismo rivoluzionario che tenta l’immane compito di instaurare un’altra società rispetto a quella dominante del capitalismo imperialista, allora si alza il litigio, l’insulto, la rissa per l’occupazione di questo o quel posto di potere (nelle istituzioni o nel partito) che anche questa società è disposta a rilasciare se, appunto, si assumono i suoi valori di riferimento. Ha scritto Holz:
«L’unità del partito (dunque, della forma in cui si organizzano le forze rivoluzionarie) è una condizione della sua capacità di agire. Va da sè che la costruzione di una società nuova è un percorso che prevede la possibilità di varianti: di qui l’altrettanto possibile presentarsi di dissensi all’interno del partito. Solo un alto livello teorico può garantire che quei dissensi non si traducano in lotte frazionistiche, bensì in dibattiti da risolvere con argomenti. « (..)
«un partito comunista è sempre in sviluppo e sempre in lotta per la sua identità. Se esso non fosse questo (ed esso non è stato questo in fasi della sua storia), allora degenererebbe in un apparato burocratico.» (48 e 66)
Noi tutti abbiamo questa responsabilità. Assumiamocene consapevolmente il carico.
 


approfondisci in questo stesso sito:
Il partito secondo la concezione marxista-leninista

scrivete a linearossa@virgilio.it

ritorna al sommario del nr.16 (luglio-agosto 2000)