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L'anno che viene. L'alba di un nuovo mondo

Intervista a Leonardo Masella

a cura di Claudio Buttazzo

 

L’aggressione genocida di Israele a Gaza, la crisi del capitalismo e dell’unipolarismo americano nel mondo, la situazione della sinistra e di Rifondazione Comunista dopo il congresso di Chianciano, il problema di Liberazione, l’unità dei comunisti, i rapporti interni fra le aree del Prc e in particolare con l’Ernesto ed Essere Comunisti. Tutti argomenti di pregnante attualità. Ne parliamo diffusamente con Leonardo Masella, direttore del sito “Comunisti in Movimenti”, prendendo le mosse da un bilancio politico dell’anno appena trascorso.

 

Leonardo, innanzitutto un augurio a te e a tutti i lettori e le lettrici di “Comunisti in movimento” per l’anno appena iniziato. L’anno che ci lasciamo alle spalle, il 2008, è stato denso di avvenimenti, anche imprevedibili, in Italia e nel mondo: le elezioni politiche del 13 e 14 aprile, il congresso di Rifondazione Comunista, la crisi economica internazionale, l’elezione di Obama e, infine, il genocidio di Gaza, che chiude il vecchio e apre il nuovo anno nel peggiore dei modi immaginabili. Da dove partiamo ?

Partiamo da Gaza. Eviterò di proposito di dilungarmi sia nella condanna dei crimini di guerra di Israele, paragonabili a quelli nazisti, sia nella solidarietà incondizionata ai palestinesi, al popolo palestinese, ai suoi legittimi rappresentanti, alla resistenza palestinese e alle mobilitazioni dei popoli arabi di questi giorni. Mi interessa tentare di capire cosa sta succedendo, il perché di questa nuova aggressione israeliana. Oltre alle cause contingenti e locali, come per esempio le elezioni politiche in Israele, io credo che si tratti di uno dei primi colpi di coda del vecchio mondo moribondo. Per questo penso che l’aggressione di Israele sia pericolosa non solo per Gaza e il popolo palestinese, ma per tutto il Medio Oriente e per il mondo intero. Israele, come ha detto Giulietto Chiesa, “è un pericolo per l’umanità”. Il governo di Israele e il governo americano, suo alleato e complice nei crimini di guerra (cioè le parti più aggressive e reazionarie dell’imperialismo capitalistico internazionale), non si rassegnano e non si rassegneranno facilmente, diciamo “pacificamente”, alla nuova situazione che si sta determinando nel mondo.

 

Ti riferisci alla crisi economica internazionale?

Non solo. Mi riferisco al fatto che la gravissima crisi economica, dopo anni di sbornia liberista e borsistica con cui si sono calpestati i lavoratori e i popoli, dimostra il fallimento del sistema capitalistico e precipita su di un lungo processo di perdita di egemonia dell’impero americano di fronte all’emergere di nuovi Stati e potenze regionali. Siamo alla fine di un impero e all’alba di un nuovo mondo. Attenzione: non sto dicendo che siamo alla vigilia del crollo del capitalismo e dell’avvento del socialismo. Purtroppo non è ancora così. No, stiamo entrando in un nuova fase del capitalismo, non più fondata sull’unipolarismo americano, ma su un autentico multipolarismo. Ma questo è obbiettivamente un grande passo in avanti nella transizione storica dell’umanità dal capitalismo al socialismo, perché è il terreno più favorevole per il movimento operaio e per i popoli del mondo, per forze anticapitalistiche, comuniste e socialiste, per i movimenti di liberazione, per le lotte e le rivoluzioni sociali, per tentare di affrontare pacificamente i principali enormi problemi che assillano l’umanità e che possono portarla alla sua distruzione, assieme alle classi in lotta, come per esempio i gravi problemi ambientali. Lo strapotere nord americano sul mondo rappresenta il freno maggiore dell’umanità nel suo cammino per il futuro. Ha scritto Alain Gresh, in un interessante articolo su Le Monde Diplomatique di novembre (“All’alba di un secolo post-americano”): “Alcune notizie raccolte dai giornali durante l'estate 2008, poco prima che irrompesse l'uragano che sta devastando il pianeta finanziario: il numero di internauti cinesi ha superato quello dei loro omologhi americani e gli Stati uniti non rappresentano ormai che il 25% del traffico della Rete, mentre erano più della metà dieci anni fa; i tentativi di rianimare il ciclo di Doha sui negoziati commerciali internazionali sono falliti, soprattutto per il rifiuto di India e Cina di offrire in sacrificio i loro agricoltori, già impoveriti sull'altare del libero scambio; la Russia ha difeso i suoi interessi nazionali in Caucaso, nel corso della crisi georgiana, a dispetto delle velleitarie proteste di Washington. Si tratta di notizie diverse, tra tante altre, che già testimoniano di una ricomposizione nelle relazioni internazionali: la fine dell'egemonia occidentale che si era imposta nella prima metà del XIX secolo. L'attuale cedimento del sistema finanziario non può che accelerare il ripiegamento occidentale. «Fine dell'arroganza», titolava il settimanale tedesco Der Spiegel, il 30 settembre, con questo sottotitolo: «L'America perde il suo ruolo economico dominante». Per una di quelle ironie di cui la storia è maestra, tutto questo avveniva meno di due decenni dopo la disfatta del «campo socialista», guidato dall'Unione sovietica, e l'apparente trionfo dei principi dell'economia liberista”.

 

A proposito di muro di Berlino…Se n’è tornato a discutere nel Prc negli ultimi tempi per la proposta di metterne l’icona della sua caduta nelle tessere dei Giovani Comunisti….

Infatti. Questi giovani-vecchi che, con tutto quello che è successo in questi vent’anni e sta succedendo nel mondo in questi giorni, pensano ancora al muro di Berlino! Fanno politica con la testa rivolta indietro, e infatti non a caso ha chiesto subito la tessera dei Giovani Comunisti un anziano come Sansonetti. Se guardassero avanti, senza essere accecati dall’anticomunismo del passato, vedrebbero che paradossalmente in soli 20 anni dalla caduta del muro di Berlino, che doveva aver dato la vittoria della guerra fredda agli Usa, la situazione si è rovesciata nel suo contrario. Dal bipolarismo Usa-Urss si sta passando al multipolarismo. Gli Usa hanno fatto di tutto per impedire questo esito, per sostituire con la forza militare – dove sono ancora molto superiori a tutti (e quindi: attenzione ai colpi di coda) – il loro inesorabile declino economico e culturale. L’11 settembre, la teoria e la pratica della guerra infinita, l’aggressione all’Eurasia con l’occupazione dell’Afganistan, la guerra all’Iraq e al Medioriente. Ma i piani non sono andati secondo le previsioni. In Asia la Russia del dopo Eltsin e la Cina emergono come nuove potenze economiche e militari indipendenti che cominciano a passare da una collaborazione fra di loro in Asia ad un movimento dinamico in campo internazionale (entrambe in America Latina, la Cina in Africa e la Russia in Europa) che non avevano mai avuto prima, neanche prima della caduta del muro. Contemporaneamente, mentre sono impegnati in Medio Oriente e in Asia, agli Usa sfugge il controllo nel cortile di casa. In America Latina è sotto gli occhi di tutti il processo irreversibile - sotto la spinta saggia e assieme rivoluzionaria di Cuba, Venezuela e Brasile - di emersione dirompente di un intero continente dal tallone di ferro dell’imperialismo yankee. Per non parlare di ciò che avviene in Africa, continente ricchissimo di materie prime, ma poverissimo solo per la rapina secolare da parte del colonialismo. C’è un fermento straordinario nel continente africano, dimostrato dal fatto che gli Usa stanno approntando un comando militare specifico per intervenire in Africa, le cui basi principali, fra l’altro, sono anche in Italia, a Vicenza. Tutte le guerre in corso in Africa sono fomentate dall’imperialismo americano ed europeo o in concorrenza fra di loro oppure alleati contro la presenza economica cinese in Africa, molto attrattiva per tutti i paesi africani perché fondata su rapporti commerciali onesti secondo la classica cooperazione sud-sud (materie prime in cambio di costruzione di grandi infrastrutture, strade, ferrovie, porti, aeroporti, acquedotti, sistemi fognari, scuole, ospedali). Per non parlare dell’Iran e delle masse arabe che vogliono, giustamente, il loro posto nel mondo e che, nella crisi del movimento comunista internazionale seguito al crollo dell’Urss, hanno visto nell’Islam la loro bandiera di riscatto. Ovviamente, come si vede proprio dall’ultimo esempio che ho fatto, ma la cosa potrebbe essere anche riferita ad altri paesi, non sto parlando di un’avanzamento verso società socialiste e neanche progressiste. Sto solo dicendo che c’è in corso un forte cambiamento del mondo verso un mondo multipolare, non più soggiogato dal dominio nord-americano, e quindi occidentale, dove paesi e popoli da sempre sottomessi, sfruttati, poveri, quello che una volta si chiamava terzo mondo, stanno alzando la testa, stanno collaborando fra di loro economicamente e militarmente, cominciano a diventare – finalmente – potenze economiche in grado di competere con quelle occidentali. Il simbolo del mondo che cambia è il passaggio dal G8 al G20. Su questa perdita radicale di egemonia degli Usa nel mondo precipita la crisi finanziaria, sempre proveniente dall’economia putrefatta di Wall Street. Il problema che vedo, e torno da dove ho iniziato, è come reagiranno i principali poteri forti capitalistici alla loro crisi strutturale e, soprattutto, come reagiranno gli Usa alla fine del loro impero. L’elezione di Obama fa ben sperare in una politica che prende atto della sconfitta dell’opzione militare che non è riuscita a contenere l’avanzata di un altro mondo ed apre la strada ad una sorta di nuova coesistenza pacifica mondiale, ad un tentativo di governo democratico del mondo. Ma i colpi di coda del potere reale che domina quel paese sono molto pericolosi, come dimostrano gli attentati a Mumbay e le loro finalità, come si vede ora dalla nuova guerra di aggressione di Israele sostenuta dagli Usa. Per questo è fondamentale, oltre alla lotta di classe ed anticapitalistica in ogni singolo paese, la costruzione di un fronte ampio di forze, paesi, popoli, movimenti, che metta nell’angolo il pericolo principale per il mondo, perchè oggi, diversamente dal periodo precedente alla seconda guerra mondiale, le armi di distruzione di massa già esistenti sono sufficienti a distruggere, letteralmente, più volte il pianeta. Israele, questo paese governato da terroristi fondamentalisti e criminali di guerra, è una grande potenza nucleare, non so se mi spiego! Il mondo è cosparso, ed anche il nostro paese lo è, di nucleare militare, e per di più senza alcun controllo democratico. Altro che nucleare civile! Ma nessuno più ne parla.

 

Perché affermi che non siamo al passaggio dal capitalismo al socialismo, ma solo ad una nuova fase del capitalismo ? E al socialismo e al comunismo quando ci arriviamo?

Questa è una domanda difficile, bisognerebbe approfondire tante cose: cos’è il socialismo, cos’è il comunismo, cosa è la Cina oggi, cos’è stata l’Unione Sovietica, cosa sono stati i paesi che si definivano “campo socialista”, quali sono le ragioni della crisi e poi della fine dell’Unione Sovietica. Tutte riflessioni totalmente assenti dal dibattito italiano, a sinistra e fra i comunisti. Io non penso, e mi scuso per la schematicità, che la crisi del capitalismo faccia tornare indietro le lancette della storia, che avevano ragione quei comunisti che, prima della caduta del muro, sostenevano la statalizzazione integrale dei mezzi di produzione e la dittatura del proletariato e che quindi c’è solo da restaurare quel modello e l’alternativa è bell’è pronta: il socialismo. Io penso, come ho detto, che siamo all’alba di un mondo nuovo, un mondo multipolare, più giusto, più democratico, dove finalmente va concludendosi il predominio nord-americano (e quindi occidentale) e contemporaneamente sta emergendo il sud del mondo. Penso che nel nuovo mondo che va emergendo verranno ridimensionate le forze liberiste e i centri del potere privato economico-finanziario e avranno un peso molto maggiore le forze comuniste, rivoluzionarie, operaie e popolari. Penso che la crisi del capitalismo e dell’unipolarismo americano possa aiutare anche paesi come la Cina e la Russia a guardarsi dagli eccessi di mercantilismo. Penso che questo processo possa essere anche di giovamento ai nostri popoli occidentali, alla loro libertà, ai loro valori oggi in uno stato di avanzata decadenza. Penso anche che questo processo possa favorire la difesa dell’ambiente e della natura, la liberazione del genere femminile dall’oppressione secolare del patriarcato, che possa aiutare la risoluzione dei principali problemi dell’umanità, evitando il prevalere, come avviene oggi su tutte le questioni, degli interessi degli Stati più forti. Tutto questo va bene, anzi benissimo, ma non penso che questo mondo che viene coincida col socialismo, penso che questo processo aiuti immensamente il passaggio storico dal capitalismo al comunismo, ma questo sarà ancora lungo e tortuoso, avrà bisogno di grandi cambiamenti, di processi rivoluzionari non solo ancora in tanti paesi del sud del mondo e poi forse ancora in Russia, in Cina, ma anche nei punti alti del capitalismo che apporteranno al socialismo mondiale tante conquiste civili e democratiche che i paesi del sud del mondo non hanno potuto conoscere a causa dell’oppressione coloniale, feudale e dittatoriale, che hanno subito proprio per responsabilità dell’occidente, democratico ma sfruttatore. Insomma il superamento del capitalismo in direzione del socialismo e poi il comunismo è una cosa un po’ diversa e complessa, anche perché significa, almeno per me che ho una concezione non socialdemocratica ma marxiana del socialismo, una società fondata su un meccanismo alternativo a quello fondamentale su cui si basa il sistema capitalistico, lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo che determina il furto di plusvalore e la formazione del profitto privato, una società in grado però di generare contemporaneamente benessere, di incentivare i lavoratori e il popolo alla partecipazione non volontaristica o stakanovista. Significa affrontare il problema della proprietà dei mezzi di produzione della ricchezza, il problema della loro socializzazione, del potere e della democrazia dei lavoratori. Mi pare che i tentativi di assalto al cielo che vi sono stati nel secolo scorso si sono incagliati proprio qui; hanno rappresentato, tutti, a partire dalla Rivoluzione d’Ottobre, passaggi fondamentali di liberazione dal sistema imperialistico, in cui hanno avuto un ruolo decisivo, dirigente, il movimento comunista e il movimento dei lavoratori, passaggi senza di cui oggi non potremmo neanche parlare di un mondo nuovo, ma si sono fermati di fronte a quella che io penso sia stata l’immaturità oggettiva, storica, del socialismo come meccanismo di sviluppo economico e di democrazia alternativi e superiori a quello capitalistico. Questa immaturità oggettiva ha generato anche distorsioni e forzature soggettive, come la statalizzazione integrale dei mezzi di produzione, l’identificazione fra statalizzazione e socializzazione, la democrazia socialista imprigionata nella “dittatura del proletariato”, l’identificazione del proletariato col partito e del partito col governo e con lo Stato, il dirigismo burocratico dall’alto a danno della partecipazione popolare dal basso, l’imbalsamizzazione del marxismo ridotto a dogma catechistico, e così via, errori che hanno la necessità di essere definitivamente superati in nuove elaborazioni teoriche e prassi politiche adeguate ai tempi. Il mondo nuovo che viene aiuterà anche questo, anche la rifondazione di un nuovo pensiero comunista e di una nuova concezione di socialismo, che faccia tesoro degli errori fatti, sia in campo economico che in campo democratico-sociale, ne sono convinto.

 

Sei andato molto lontano. Proviamo ad avvicinarci a noi: l’Europa che ruolo ha, secondo te, in questa nuova situazione ?

Solo i governanti della Ue ancora stentano ad intraprendere una politica veramente autonoma dagli Usa. Dopo i dissensi di Francia e Germania di fronte alla guerra di Bush all’Iraq, i governanti europei piegarono la testa alla seconda elezione di Bush e alla sua offensiva politica e militare. Ma poiché le contraddizioni interimperialistiche fra gli interessi Usa e quelli europei continuano ad esistere, anche se sotto traccia, i governi europei, in particolare Francia e Germania, potrebbero essere spinti – dalla crisi economica che proviene da Wall Street, dall’emergere di nuove potenze mondiali e dal declino degli Usa, dalla stessa elezione di Obama – ad una politica diversa dal passato. Alcuni segnali interessanti di diversità dalla linea di Washington, sia pure molto, troppo timidi, si sono visti, per esempio sulla crisi georgiana. I problemi per l’Europa sono fondamentalmente tre: la Nato, il patto di acciaio che la lega militarmente la Ue agli Usa; la impostazione ancora fortemente coloniale e imperiale nel confronti del sud del mondo (che si vede da come si comportano i governi della Ue nel Wto); e le politiche ancora neoliberiste nei confronti dei propri lavoratori. Se l’Europa vuole emanciparsi e non rimanere sotto le macerie della fine dell’impero americano, deve aiutare il mondo a costruire il futuro, deve liberarsi di queste tre gabbie. Questo è il terreno principale di azione delle forze politiche di sinistra europea, comuniste, socialiste, progressiste, anticapitaliste.

 

Veniamo all’Italia. Le elezioni di aprile, la catastrofe della sinistra, il congresso del Prc e la sua situazione critica interna, gli effetti della crisi economica, le prossime elezioni europee… Da dove cominciamo?

Cominciamo dagli effetti della crisi economica internazionale. In Italia avevamo una situazione già drammatica, sia per le condizioni sociali del paese e dei lavoratori, sia per lo stato disastroso dell’apparato industriale, della politica, dei valori del nostro Paese. La crisi sta precipitando su una situazione già devastata. Un governo di estrema destra, pessimo, da vergognarsi di essere italiani come in altre epoche storiche, con venature fasciste e razziste, una opposizione parlamentare ridotta ai soli Pd e Di Pietro, nel suo complesso quindi una opposizione fondamentalmente liberista, subalterna agli Usa e Israele, persino peggiore dei governi europei, anche quelli di destra. Massimo D’Alema, per difendersi dai suoi compagni di partito nella sua condanna di Israele, deve ripararsi dietro Sarkozy! La sinistra fuori dal parlamento e, nonostante ciò, ancora ultra-politicista nella sua maggioranza e litigiosa al suo interno. La politica italiana, salvo rare eccezioni, è corrotta da destra a sinistra. La questione morale devasta oggi il Pd, ma Berlusconi è il simbolo dell’uso privato del potere politico. Ed anche la sinistra italiana, come si vede proprio in questi giorni da alcune storie sconosciute che emergono dalla triste vicenda di Liberazione, è devastata dall’uso personale del potere politico. La crisi economica piomba su questa situazione italiana. Dunque senza nessuna speranza di soluzione, né da parte di chi ci governa, né da parte dell’opposizione parlamentare. Le uniche cose positive e inaspettate sono i movimenti sociali. In questa situazione è evidente che, per esempio, la speranza di lavoro che nutrivano masse sempre più grandi di giovani precari si trasformerà presto in disoccupazione cronica e disperata, così come le ondate di licenziamenti alimenteranno masse di nuovi precari e disoccupati. La povertà, che già lambiva il lavoro dipendente, si diffonderà a macchia d'olio, colpendo persino le classi medie rovinate dai mutui e dal crollo delle piccole rendite finanziarie. Aumenterà la paura e il ricatto per chi lavora, alimentando i rischi di guerre fra poveri, di tutti contro tutti, fra garantiti (chi?) e non garantiti, fra disoccupati e precari, autoctoni e immigrati, lavoratori pubblici e privati, giovani e pensionati, eccetera.

 

Descrivi una situazione senza speranze…

Questa è purtroppo la realtà, non una fosca previsione. Ovviamente c’è il rovescio della medaglia. Da questa crisi bisogna difendersi. E l’unico modo serio per difendersi sta in due bandiere nella testa della classe, o nella testa delle parti più avanzate dei lavoratori, degli studenti, degli immigrati, degli intellettuali marxisti e di sinistra: partito comunista e sindacato di classe. Se non ora quando? Un partito comunista, di nome e di fatto, cioè non solo un nome e un simbolo, reliquia e residuo del bel tempo che fu, ma parte più avanzata della lotta contro il capitalismo, qui ed ora. La crisi economica favorisce questo processo e conferma la scelta che abbiamo fatto nel congresso del Prc e nella sua conclusione di Chianciano: la rifondazione, non la liquidazione, di una forza comunista. Di questo c’è sempre più bisogno e c’è sempre più spazio, politico e sociale. E contemporaneamente c’è bisogno come non mai di un sindacato di classe e di massa. Che non c’è, perché la Cgil non è più, da tempo, un sindacato di classe nel senso di un sindacato conflittuale, che difende la classe a prescindere da chi governa. Per questo sono sorte in Cgil le aree di sinistra sindacale “Lavoro e Società” e la “Rete 28 aprile”, a cui deve andare tutto il nostro sostegno. Ma contemporaneamente i sindacati di sinistra extraconfederali, come la Cub, Cobas, Rdb, Sdl, sono sì sindacati conflittuali e per questo vanno da noi sostenuti con determinazione, ma non riescono ancora a rappresentare un sindacato che sia anche di massa, anche se finalmente stanno almeno unendo fra di loro le forze. La nuova situazione che si è determinata con la crisi economica e con le nuove mobilitazioni sociali può favorire una unificazione di tutto il sindacalismo di classe, non come ognuno di noi lo immagina dal proprio particolare punto di vista, ma così come si manifesta concretamente in questi giorni. Io mi auguro che i comunisti, in qualunque partito o sindacato siano presenti e attivi, si muovano sull’obbiettivo comune di favorire l’unità fra la Cgil, le sue parti più avanzate, e i sindacati di base. So che è difficile, ma noi comunisti non avremo mica paura di fare le cose difficili!

 

Questo concetto è chiaro. Veniamo alle prossime elezioni, c’è chi afferma che c’è molta reticenza dentro Rifondazione Comunista. Con chi si presenterà Rifondazione: di nuovo con la sinistra arcobaleno oppure da sola ? E l’unità col Pdci che fine fa ? Perché non se ne parla ?

No, rifiuto la tesi che siamo reticenti su questo tema. E’ che ci sono varie questioni in campo che non si possono eludere, altrimenti non si fa politica, si fa propaganda. Innanzitutto è bene ribadire che non c’è peggiore errore che dire la cosa giusta nel momento sbagliato, né troppo presto, né troppo tardi. In linea con questa modalità corretta di far politica, credo che dopo la batosta elettorale della sinistra arcobaleno, dovuta non solo al simbolo irriconoscibile ma anche, e vorrei dire soprattutto, al fallimento catastrofico della presenza dei comunisti e della sinistra nella maggioranza del governo Prodi, la cosa peggiore sarebbe stata continuare con una impostazione politicista, elettoralista della politica di Rifondazione, dei comunisti, della sinistra. Quindi abbiamo fatto benissimo a concentrarci, dopo il congresso di Chianciano, nella reimmersione sociale, nelle lotte, nonostante le diverse sollecitazioni politiciste che da parti opposte abbiamo avuto. Anzi, se c’è stato un difetto, quello è stato che il nostro partito e il resto della sinistra che ha partecipato al fallimento di Prodi sono stati ancora troppo istituzionalisti, poco presenti nella società. Rifondazione Comunista è la forza che, sia pure in modo ancora insufficiente per il retaggio degli anni passati impregnati di cultura governista, comunque più delle altre forze di sinistra ha dimostrato presenza e dinamismo sociale: l’organizzazione della manifestazione dell’11 ottobre, la presenza, sia pure insufficiente, nello sciopero dei sindacati extraconfederali del 17 ottobre, il sostegno allo straordinario movimento degli studenti, lo sciopero generale del 12 dicembre, ma poi soprattutto la nuova impostazione del “partito sociale”, i tavoli nelle piazze sul caro vita, la ripresa di iniziativa nei luoghi di lavoro, l’importante campagna popolare dei Gap, i Gruppi di acquisto popolare. Il problema è che spesso ci ritroviamo soli in questa impostazione sociale. Perché non c’è stata la costituzione di comitati unitari di promozione e di organizzazione della manifestazione dell’11 ottobre ? Perché nell’iniziativa sul pane a un euro, assolutamente riuscita nell’impatto con le fasce popolari, non ci sono le altre forze comuniste e di sinistra ? E’ nella società, spalla a spalla nelle lotte che si costruisce l’unità, una unità utile non tanto a chi la fa, ai comunisti, ma ad altri, ai riferimenti sociali dei comunisti, i lavoratori, i precari, gli immigrati, gli studenti, poi quindi di conseguenza anche a chi promuove l’unità. Altrimenti è un’altra versione, è la versione nostra dell’impostazione bertinottiana dell’unità della sinistra, che fallisce nel rapporto con le masse soprattutto perché è governista e politicista, non di lotta e sociale. La nostra impostazione di superamento della diaspora comunista, a partire dalla ricomposizione del Prc e del Pdci, proprio perché riesca e non fallisca, deve mettere al bando ogni politicismo e verticismo, deve invece dare protagonismo alla base militante e sociale. Dobbiamo metterci in testa che o i comunisti e la loro unità e il partito comunista che vogliamo ricostruire sono utili alla società (ovviamente ad una sua parte) oppure il progetto fallisce ed è ovvio che si sparisce. Se sparisci dalla società, sparisci dalla politica.

 

Continui ad eludere le prossime elezioni europee. Come ci andremo ?

Ci arrrivo, ci arrivo. Ogni cosa a suo tempo. Se non si comprende la parte sociale del progetto, si fallisce l’obbiettivo elettorale e quindi quello politico. Se invece di tanti convegni, appelli, riunioni di addetti ai lavori si fosse messo in campo una, una sola campagna di lotta e di massa unificante per il Prc e il Pdci, si sarebbe fatto un servizio migliore alla causa dell’unità e della ricostruzione di una forza comunista consistente, non residuale e settaria, all’altezza dei tempi. Io penso, per esempio, che se ci fosse di qui alle elezioni del giugno una campagna di mesi per alcuni referendum sociali, sul reddito, sui prezzi, sulla precarietà, con assemblee pubbliche, comitati promotori locali, tavolini nelle piazze e davanti ai luoghi di lavoro, questa farebbe bene al Prc, ad altre forze comuniste, all’unità dei comunisti e della sinistra, e sarebbe la migliore preparazione delle elezioni europee ed amministrative.

In particolare nei rapporti col Pdci vedo tre diversi livelli di difficoltà. Quello più semplice è il rapporto fra gli elettorati. Qui non ci sono grandi problemi, l’elettorato popolare del Prc e quello del Pdci sono molto simili, molto interscambiabili. Nell’elettorato comunista complessivo, che ancora sta attorno al 5% come si vede dalle elezioni abruzzesi, ci sarebbe la spinta più forte a mettersi assieme, almeno a presentare un simbolo unico. Poi c’è il rapporto fra i gruppi dirigenti nazionali. Qui le cose vanno un po’ peggio, anche perché la minoranza vendoliana del Prc è pronta a strumentalizzare ogni avvicinamento fra i due partiti per mettere in difficoltà la maggioranza di Chianciano ed ovviamente sarebbe sbagliato non tener conto di ciò e della necessità di non mettere in difficoltà la risicata maggioranza congressuale. In terzo luogo mi sembra di percepire che i rapporti peggiori siano fra i gruppi dirigenti locali dei due partiti. Il nostro partito è più spesso presente a livello locale – nonostante grandi difficoltà, limiti, gravi errori – con un certo grado di militanza. Il Pdci, invece, lo dico con grande rispetto e spirito fraterno, è ridotto a un po’ di presenza istituzionale e ristrettissimi gruppi dirigenti locali spesso completamente autoreferenziali e ogni tanto, come a Bologna e in Emilia-Romagna, persino con una linea politica in palese contraddizione con la nuova linea nazionale, positiva, del Pdci. Non è facile in queste condizioni costruire neanche l’unità d’azione fra i due partiti. Per questo motivo penso che, se vi fosse una campagna referendaria di qualche mese, forse i gruppi dirigenti locali sarebbero costretti a lavorare assieme misurandosi con la concretezza di una lotta e quindi almeno con la necessità dell’unità d’azione. Questo potrebbe aiutare a superare le grandi diffidenze reciproche che ancora vi sono.

 

E alle prossime elezioni ?

Con un lavoro di questo genere nei prossimi mesi sarebbe più facile affrontare le prossime elezioni e costruire almeno una ipotesi di alleanza elettorale fra i due partiti comunisti e con altre forze comuniste e di classe rispettosa del mandato congressuale del Prc e contemporaneamente con possibilità di successo elettorale. Io non so ancora come arriveremo al giugno del 2009, non so se la minoranza vendoliana o una sua parte lascerà il partito oppure no, non so se il partito potrà disporre nei prossimi mesi di un quotidiano come Liberazione, come io spero vivamente. Ci sono ancora tante variabili. Azzardo un ragionamento elettorale. Secondo me la cosa migliore a sinistra del Pd – sempre dopo aver fatto un lungo bagno di società, alcune lotte unitarie e possibilmente una campagna referendaria – sarebbe meglio evitare i due estremi. Il primo è l’unità di cose troppo diverse, il secondo è l’eccessiva frammentazione elettorale della sinistra. Il primo è in sostanza un bis della sinistra arcobaleno. Se si presentasse di nuovo un simbolo unitario dei quattro partiti, Prc, Pdci, Sd e Verdi, io credo che si rischierebbe una batosta bis, perché per esempio c’è una parte dell’elettorato ecologista che ci vedrebbe troppa sinistra comunista e si farebbe attrarre dagli ambientalisti del Pd, e c’è una parte dell’elettorato comunista che continuerebbe a non riconoscersi in una cosa indistinta, senza la falce e martello. Il secondo estremo è l’eccessiva frammentazione di liste e simboli di sinistra. Una parte di elettorato popolare, di fronte alla presentazione di tre o quattro simboli comunisti, potrebbe essere spinto o a votare Pd o ad astenersi, mandando tutti a quel paese. Come si fa a sapere se una parte, anche piccola, della grande astensione che c’è stata nelle elezioni regionali in Abruzzo non è riconducibile anche a questo fenomeno? La cosa migliore a sinistra del Pd sarebbe tentare di accorpare ciò che è più vicino, per esempio i Verdi con Sd, il Pdci con il Prc aprendosi anche ad altri alla loro sinistra, due sole liste, due soli simboli. Per il bene di entrambe le liste e dell’intera sinistra.

 

Infine una ultima domanda relativa alle dinamiche interne alla maggioranza congressuale del Prc. Prima del congresso di Chianciano sei stato un esponente riconosciuto dell’area dell’Ernesto che veniva dalla separazione da Essere Comunisti e della Terza mozione congressuale di cui l’Ernesto ha fatto parte. Dopo il congresso di Chianciano hai lasciato tutti gli incarichi nell’area dell’Ernesto. Come mai? Per andare dove?

Innanzitutto, permettimi di dire che quest’ultima domanda e la relativa risposta, diversamente dalle precedenti, rischiano di essere comprensibili solo a pochi addetti ai lavori. E già questo non mi piace. Stiamo parlando di cose conosciute ad un ristrettissimo gruppo di comunisti ed io tento sempre di muovermi con il seguente criterio: se ciò che fai anche all’interno di ceti politici ristretti sei in grado di spiegarlo facilmente anche a chi non fa politica tutti i minuti, allora forse sei sulla strada giusta; se invece fai fatica persino a farti capire da chi ti è vicino tutti i giorni ma non fa politica come te, allora vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Tenterò quindi nella risposta di farmi capire da chiunque mi legga e contemporaneamente di essere sintetico. Negli anni passati, quando il partito è stato diretto prima da Cossutta, poi da Cossutta e Bertinotti insieme e poi dal solo Bertinotti, io ho fatto parte di una tendenza politica e culturale che viene da lontano, da quando c’era il Pci, nella battaglia contro il processo di snaturamento della sua natura comunista e di classe. Questa tendenza più marcatamente marxista ha contribuito a fondare il Prc nel ’91 e a costruirlo negli anni, partecipando sempre, diversamente dalle tendenze di matrice troztkista, alla direzione e alla gestione del partito. Solo dopo il congresso di Venezia e per responsabilità principale di Bertinotti, questa tendenza, che prese la forma per la prima volta di una mozione alternativa che ottenne al congresso il 26%, la mozione “Essere Comunisti” e che aveva una rivista che si chiamava “L’Ernesto”, è stata messa fuori dalla gestione del partito, perché incompatibile con l’ingresso del Prc nel governo. Due anni fa, dopo le elezioni politiche del 2006, sulla base di una dialettica politica fra posizioni diverse si determinò una spaccatura nella nostra mozione e la nascita di due aree distinte, una che prese il nome della mozione “Essere Comunisti” e l’altra che prese il nome della rivista “L’Ernesto”. Io sono stato fra i massimi esponenti di questa seconda area e poi della mozione dei 100 circoli all’ultimo congresso, la terza mozione congressuale, di cui l’Ernesto ha fatto parte, che ha preso solo il 7,8% all’ultimo congresso. Non voglio qui, ora, fare un bilancio – sarebbe lungo, complesso – della nostra esperienza dopo la separazione né voglio fare un bilancio di ciò che è diventata e rappresenta oggi l’area di Essere Comunisti. Mi preme ora solo far notare una cosa: dal momento della rottura fra l’Ernesto ed Essere Comunisti ad oggi, è cambiato tutto, ma proprio tutto, e vorrei che qualcuno mi dicesse quali sono le motivazioni politiche, oggi non ieri, che fanno permanere la divisione che vi fu due anni fa. Segnalo tre punti. Primo, allora c’era il governo Prodi ed uno degli elementi che ci divise profondamente fu la discussione fra di noi su quale atteggiamento tenere nei confronti del governo e del partito al governo. Oggi quella situazione è stata totalmente spazzata via, c’è stato il fallimento del governo Prodi, ha stravinto come prevedibile Berlusconi, c’è un nuovo governo di estrema destra, c’è stata la catastrofe della sinistra arcobaleno, siamo tutti non solo all’opposizione ma extraparlamentari. Quella discussione e la divisione sul governo non ha più senso oggi, è superata. Secondo, allora c’era il Prc al 6%, Bertinotti presidente della Camera, il Prc in maggioranza e al governo, Ferrero ministro, la segreteria del Prc bertinottiana e Essere Comunisti fuori dalla segreteria e dalla gestione del partito, non per scelta ma per atto autoritario di Bertinotti. Ed un altro dei motivi che ci divise fu la discussione se c’erano contraddizioni nella maggioranza bertinottiana che gestiva il partito oppure no, se e come incalzare quelle contraddizioni, se rientrare nella segreteria e nella gestione unitaria del partito oppure no, dopo le dimissioni di Bertinotti da segretario, se presentare anche alla conferenza di organizzazione di Carrara un documento alternativo o emendamenti. Oggi, la situazione nel partito, dopo il congresso nazionale, è completamente cambiata, addirittura rovesciata: i bertinottiani puri hanno perso il congresso e sono in minoranza e sulla via di una scissione, c’è una nuova maggioranza di cui noi tutti, Ernesto ed Essere Comunisti, facciamo parte. Dunque anche questa seconda ragione della separazione oggi non c’è più. Superata. Terzo, c’è anche un’altra ragione che porta al superamento della separazione. Dopo la divisione di due anni fa, la nostra area, l’area dell’Ernesto, si fece promotrice della posizione di buon senso del superamento della diaspora comunista e in particolare della riunificazione fra il Prc e il Pdci e questo ha rappresentato in questi due anni una differenza di rilievo con le altre componenti, anche dell’attuale maggioranza del Prc ed anche con Essere Comunisti. Tuttavia oggi anche questo è cambiato. Nel documento approvato a Chianciano, anche per la nostra battaglia, ci sono importanti riferimenti alla collaborazione con altre forze comuniste, anche per le elezioni europee. Il partito, tutto, anche per merito del segretario, ha avviato un rapporto positivo, nell’ambito dei rapporti unitari a sinistra, col Pdci e con altre forze comuniste ed anticapitalistiche, in modo del tutto opposto alle posizioni ed ai comportamenti della precedente segreteria Giordano. Ma poi, l’assoluta novità è la posizione di Essere Comunisti, che innanzitutto per merito del suo coordinatore Claudio Grassi, che è anche il nuovo responsabile di organizzazione del Prc, ha intrapreso iniziative e posizioni coraggiose in direzione sia della riunificazione col Pdci che della presentazione unitaria alle prossime elezioni europee sia col Pdci che con le altre forze comuniste disponibili, senza destabilizzare, giustamente, la risicata maggioranza congressuale. Anche su questo, divergenza superata. Dov’è oggi più la differenza con Essere Comunisti? Dunque al di là di chi avesse torto o ragione due anni fa, oggi la situazione è radicalmente cambiata e sono superate tutte le principali motivazioni politiche di una separazione da Essere Comunisti. Io mi interrogo se non sia il caso di sciogliere tutte le aree e fare un’area unica con Ferrero, figuriamoci con Essere Comunisti. Non mi ritrovo nell’ultra minoritarismo cronico, nella logica dei piccoli gruppi, tanto più piccoli quanto più puri ideologicamente, in cui ognuno pensa di rappresentare “i veri comunisti”. Ecco, queste sono le ragioni politiche fondamentali delle mie dimissioni, sempre tutte ampiamente motivate politicamente per iscritto, da incarichi nell’Ernesto, della nascita di un nuovo sito “Comunisti in Movimento”, che non è un area ma solo un sito, e del mio avvicinamento a tutta la prima mozione del congresso di Chianciano, dopo la conclusione positiva del congresso. Non si può proclamare a parole l’unità dei comunisti e poi non tentare di unirli intanto e per lo meno nel partito che concretamente si dirige. A monte, come si può facilmente vedere anche dall’impostazione diversa del nostro Sito rispetto a quello dell’Ernesto, vi sono anche divergenze di cultura politica, di cui però sarebbe troppo lungo e complesso parlare ora. Sarà per un’altra volta.

 

Leggo che interverrai al seminario promosso da Essere Comunisti a Riccione dal 9 all’11 gennaio. Coma mai ? E’ un rientro nella loro area ?

Mi fa sinceramente e politicamente piacere che Essere Comunisti mi abbia invitato, per la prima volta dopo due anni, ad una loro iniziativa. Anche questo è il segno che la situazione è cambiata e sta cambiando. Questo non significa che io ed altri compagni vicini alle mie posizioni rientriamo domani in Essere Comunisti. Significa che c’è finalmente un processo di riavvicinamento, di ricomposizione, di apertura di una discussione. Del resto dirigiamo assieme lo stesso partito, ci mancherebbe altro che non vi fosse questo atteggiamento unitario e collaborativo fra di noi. Dovrebbe esserci fra tutte le aree della maggioranza, con un processo di fluidificazione, di superamento non dico delle aree, ma almeno della cristallizzazione organizzativa e preventiva della discussione interna alla maggioranza. Al seminario di Riccione sono stati invitati e parteciperanno altri compagni e compagne che non fanno parte dell’area di Essere Comunisti, come il segretario nazionale Paolo Ferrero e quello regionale Nando Mainardi, l’economista Emiliano Brancaccio, il responsabile esteri del Prc Fabio Amato, il dirigente Cgil Dino Greco, Aurelio Crippa, Imma Barbarossa, Sergio Dalmasso e Roberto Sconciaforni. E questo è un positivo segnale di apertura al quale spero seguiranno altri. L’anno che viene, per tornare all’inizio dell’intervista, spero sia anche l’alba di un nuovo rapporto unitario fra i comunisti, a partire dai comunisti del Prc. Sta cambiando il mondo intero e non dobbiamo cambiare noi? Io voglio sentirmi libero di pensare e di dire liberamente ciò che penso, stando sempre sulla politica, con analisi e proposte concrete di azione, come ho fatto in questa intervista e come farò altre volte, senza gabbie burocratiche né di partito né a maggior ragione di correnti o sottocorrenti. Se facessimo tutti di più così, mettendo in campo idee e azioni conseguenti che muovono le cose, che fanno politica per aggiunta non per distruzione di chi la pensa diversamente, io credo che aiuteremmo di più il processo di rifondazione/ricostruzione di un partito comunista in Italia. C’è bisogno di discutere liberamente e c’è bisogno di agire concretamente.

intervista realizzata il 3 gennaio 2009

 

 

presentazione degli editoriali nel Blog 2009 di Ferdinando Dubla