TEORIA E MEMORIA STORICA
Gramsci e l'organizzazione come 'passaggio' per l'egemonia
Nell'area comunista è aperto il dibattito su quale partito comunista nel XXI secolo: rileggere e interpretare correttamente l'elaborazione di Gramsci sull'organizzazione e connetterla a quella di Pietro Secchia significa legarsi agli stessi strumenti teorico-pratici (prassi materialista) che hanno reso grande il PCI nell'epoca del suo radicamento di massa e della sua efficacia politica
----- Ferdinando Dubla -----
Il leninismo di Gramsci gli permette, nei 'Quaderni', di considerare
il tema dell'organizzazione in chiave moderna, connesso ad uno dei 'passaggi'
cruciali per l'egemonia e di criticare i modelli sociologici borghesi come
'modernizzazione apparente' per la passivizzazione delle masse: “Per
fare la guerra ci vogliono gli eserciti, e nella misura in cui la teoria
di Gramsci vuole essere una preparazione operativa per la rivoluzione,
è chiaro che egli si preoccupa della natura e dell’organizzazione
del suo esercito: il partito.” [E.J.Hobsbawm,1974]
E qui è innanzitutto il discrimine: mentre l'organizzazione
borghese moderna del 'partito politico' costituisce una delle formazioni
storiche privilegiate per la riproduzione del consenso, funzionale anche
a processi pre-moderni come il cesarismo e il bonapartismo, dunque
connessi alle forme di 'rivoluzione passiva', l'organizzazione proletaria
moderna, seguendo la traccia leniniana traducibile in Occidente, legandosi
al problema della transizione, deve essere resa funzionale all'attivizzazione
delle masse, al loro protagonismo storico, ciò che si sostanzierà
come radicamento popolare del principale degli strumenti dell'organizzazione,
il
partito comunista, con la direzione della classe operaia. In breve,
la costruzione dell'egemonia passa dall'organizzazione del conflitto sociale,
della lotta di classe, nel partito che sviluppa il processo rivoluzionario
in forme specifiche e lo indirizza verso il socialismo. Il partito, 'intellettuale
collettivo', si misura dunque con la capacità di dirigere e organizzare.
E' il principale strumento della costruzione dell'egemonia proletaria,
non il solo: si pensi all'importanza, per Gramsci, delle organizzazioni
sindacali, degli istituti della formazione, degli impianti culturali complessivi,
ecc., dell'intero impianto sovrastrutturale; anche per questo i processi
non si svolgono meccanicamente secondo modelli precostituiti (il sindacato
promuove e dirige le lotte nei luoghi di lavoro, il partito organizza le
masse e le politicizza tramite la formazione dei quadri come avanguardie
coscienti - il modello rischierebbe così di non tener conto proprio
delle forme della 'transizione', cioè della costituzione di una
'società civile' che nel capitalismo dell'epoca americanista e fordista
sviluppa i propri modi di essere in tipologie affatto lineari).
La nozione di 'organizzazione', così, sostanzia come una
colonna portante quello di 'egemonia': che diventa, da questo punto
di vista, il dirigere-organizzare scegliendo strategie e mezzi secondo
fini consapevoli. E' l'organizzazione che vuole coincidenza di 'mezzi e
fini' "e che si può parlare di volere un fine solo quando si
sanno predisporre con esattezza, cura, meticolosità, i mezzi adeguati,
sufficienti e necessari". Il controllo delle azioni, dell'attuazione
effettiva e concreta delle iniziative, "è altrettanto necessario
che lo studio delle idee.(..) nell'organizzare è compreso il 'verificare'
o controllare." [A.Gramsci: Quaderni dal carcere (Q.14)]
Gramsci era partito, nel Quaderno 2 (limitatamente a ciò che
gli era permesso di leggere nelle condizioni carcerarie, non bisogna mai
dimenticarlo, ma questa volta non a caso) dalla critica al sociologismo
di Roberto Michels e le tendenze oligarchiche della democrazia moderna,
secondo cui il bisogno dell'organizzazione e le tendenze presenti nella
psicologia umana, individuale e collettiva, rendono evanescente ogni discorso
sulla connotazione di classe. Tant'è che esiste una 'borghesia'
all'interno stesso del movimento operaio e delle sue rappresentanze politiche.
Ciò, scrive Gramsci, accade materialmente "quando nell'organizzazione
c'è scissione di classe: ciò è avvenuto nei sindacati
e nei partiti socialdemocratici: se non c'è differenza di classe
la questione diventa puramente tecnica - l'orchestra non crede che il direttore
sia un padrone oligarchico."
Per un partito comunista la questione che si pone dunque, è
quella di dirigenti e diretti che condividano la necessità dell'organizzazione
della lotta di classe, ciò che va appunto oltre lo 'schematismo
sociologico', come lo chiama Gramsci e non si pone certo in termini meccanici
di composizione sociale di classe del partito nei suoi quadri e nella sua
direzione complessiva, sebbene sia un dato questo che per quantità
debba supportare la qualità. Inoltre nella sua riflessione Gramsci
avverte che per la conquista dello Stato c'è la necessità
di strutturarsi come formazione centralizzata: "(..)bisogna però
osservare che altra è la democrazia di partito e altra la democrazia
nello Stato: per conquistare la democrazia nello Stato può essere
necessario - anzi è quasi sempre necessario - un partito fortemente
accentrato (..)" [A.Gramsci, (Q.2)]
Insomma, la categoria di 'burocratismo', senza analisi di classe, è
insussistente, e organizzazione, senza della quale non è possibile
l'esercizio della direzione e dell'egemonia, non è 'burocratismo',
che si supera attraverso la partecipazione attiva dei diretti alla direzione
e alla gestione non delegata del controllo dei risultati della direzione.
Nel partito comunista, che costruisce l'egemonia proletaria, la formazione
dei quadri è rivolta sia all'assunzione piena del ruolo di avanguardie
per l'organizzazione della lotta di classe (in tutte le sue forme), sia,
appunto, al "controllo" dei concreti ed effettivi risultati nell'incedere
del processo rivoluzionario.
Rifiutando decisamente l'eguaglianza direzione del partito=direzione
della società, Gramsci rivendica la democraticità del centralismo
nel partito di classe, ciò che solo permette l'organizzazione/direzione
- controllo dei risultati concreti dell'azione politica - egemonia;
e la natura democratica dello Stato nel socialismo, come annullamento della
dualità dirigenti-diretti e annullamento dello Stato.
Il comunismo si connota come 'società regolata', regolata anche
da una metodologia organizzativa superiore all''anarchia' funzionale all'accentramento,
ai 'capi carismatici' che escono fuori dal cilindro della borghesia capitalista.
In questo senso, non c'è comunismo senza organizzazione e nelle
fasi della lotta di classe, con modalità differenti per la 'guerra
di movimento' e 'guerra di posizione', organizzazione è già
rivoluzione, cioè possibilità di apertura e sviluppo del
processo rivoluzionario.
L'organizzazione di classe del proletariato - il partito - è
a sua volta organizzazione collettiva che persegue fini e scopi condivisi,
il tramite tra dirigenti e diretti è la coscienza di classe, è
la scelta stessa dei 'mezzi' (tattica) con cui si perseguono quegli
stessi fini (strategia). L'organizzazione come direzione ed esercizio
dell'egemonia delle classi subalterne è critica al concetto e alla
prassi dell'organizzazione borghese, così come si concepisce e si
struttura dalla Rivoluzione francese e dalla dottrina di Hegel sui partiti
e le associazioni 'trama privata' dello Stato. Gramsci, nel Quaderno 1,
riferito al costituzionalismo borghese, scrive:
"Governo col consenso dei governati, ma col consenso organizzato, non generico e vago quale si afferma nell'istante delle elezioni: lo Stato ha e domanda il consenso, ma anche 'educa' questo consenso con le associazioni politiche e sindacali, che però sono organismi privati, lasciati all'iniziativa privata della classe dirigente."
Lo stesso concetto di Marx dell'organizzazione, rileva Gramsci, pur
con un acuto "senso delle masse", risentiva della propria particolare esperienza
storica dell'epoca e dunque "rimane ancora impigliato tra questi elementi:
organizzazione di mestiere, clubs giacobini, cospirazioni segrete di piccoli
gruppi, organizzazione giornalistica". [Q.1]
Le classi dirigenti borghesi esercitano il dominio tramite l'organizzazione
del consenso passivo delle classi subalterne, ciò che permette 'rivoluzione
passiva', 'rivoluzione senza rivoluzione', trasformazioni interne agli
assetti della classe dominante e 'passivizzazione delle masse', eterodirezione,
riproduzione ideologica in chiave reazionaria del 'senso comune', infine
'il sovversivismo dall'alto delle classi dirigenti': non è mai esistito
"un
dominio della legge (sfera formale del diritto, ndr), ma solo una politica
di arbitrii e di cricca personale o di gruppo (materialità dell'egemonia
borghese, ndr)."
[A.Gramsci, Q.3]
La costruzione dell'egemonia, uno dei cui 'passaggi' cruciali è
costituito dall'organizzazione, della lotta di classe e dello strumento
della definitiva emancipazione delle masse popolari, non può prescindere
dalla trasformazione che questo 'passaggio' richiede alle classi subalterne:
da massa ad esercito politico organicamente predisposto.
Gramsci lo indica analizzando il 'teorema delle proporzioni definite' ripreso
dai Princìpi di economia pura, opera del 1889 rieditata nel
1931 di Maffeo Pantaleoni, che tenta di legare, in termini neopositivistici,
all'economia politica le leggi della chimica organica:
"(..) I corpi si combinano chimicamente soltanto in proporzioni definite e ogni quantità di un elemento che superi la quantità richiesta per una combinazione con altri elementi, presenti in quantità definite, resta libera; se la quantità di un elemento è deficiente per rapporto alla quantità di altri elementi presenti, la combinazione non avviene che nella misura in cui è sufficiente la quantità dell'elemento che è presente in quantità minore degli altri". [M.Panteleoni, Principii di Economia Pura, Treves, Milano, 1931]
Con l'avvertenza che questo 'teorema' può impiegarsi produttivamente nella 'scienza dell'organizzazione', se si fa salvo il suo valore 'schematico e metaforico', perchè gli aggregati umani non possono essere studiati e analizzati meccanicamente nè misurati matematicamente, Gramsci annota:
"Si potrebbe servirsi metaforicamente di questa legge per comprendere come un 'movimento' o tendenza di opinioni, diventa partito, cioè forza politica efficiente dal punto di vista dell'esercizio del potere governativo; nella misura appunto in cui possiede (ha elaborato al suo interno) dirigenti di vario grado e nella misura in cui essi dirigenti hanno acquisito determinate capacità. (..) Perciò si può dire che i partiti hanno il compito di elaborare dirigenti capaci, sono la funzione di massa che seleziona, sviluppa, moltiplica i dirigenti necessari perchè un gruppo sociale definito (che è una quantità 'fissa', in quanto si può stabilire quanti sono i componenti di ogni gruppo sociale) si articoli e da caos tumultuoso diventi esercito politico organicamente predisposto." [A.Gramsci, Q.13]
Il passaggio da massa, indistinta e priva di coscienza di classe, ad
esercito
politico organicamente predisposto, massa popolare guidata dal partito
di classe, richiede un prerequisito indiscutibile: elevare la capacità
dei quadri (coscienza+organizzazione) per formare dirigenti capaci di incidere
sulla quantità (organizzazione/direzione=egemonia). Nel dopoguerra,
Secchia cercherà (nonostante la scarsa conoscenza
diretta
della riflessione gramsciana) di rendere operativo questo schema, in particolare
ponendo la centralità della cellula alla base dell’organizzazione
e del suo concreto esercizio dal basso verso l’alto e viceversa,
paragonandolo a quello del plotone nell’esercito, il cui compito è
di “realizzare obiettivi tattici” formando “dei comunisti coscienti,
attaccati al partito, disciplinati”. [Pietro Secchia, 1946]
Il legame con le masse non stempera l'identità di classe dello
strumento-partito se si afferma la doppia valenza che molti hanno individuato
come pedagogica, ma che in effetti è formativa come
tutti i mezzi che mirano all'emancipazione, individuale e collettiva: è
la società, le classi che determinano i partiti, questi formano
i quadri che elevano la formazione delle classi stesse; per un partito
comunista ciò è essenziale, una traduzione del principio
marxista della determinazione della coscienza da parte dell' 'essere sociale'.
E la qualità dei quadri non si misura dalla capacità
astratta di perorare la causa idealmente intesa, ma dall'effettiva capacità
di guidare le masse nell'azione politico-sociale, qualità dell'avanguardia,
appunto, nel fuoco delle contraddizioni di classe e in direzione del socialismo.
Il nuovo tipo di intellettuale nasce da qui: 'organico' alla classe
e all'organizzazione di classe, è dentro la classe come organizzatore
della trasformazione qualitativa nella costruzione del processo rivoluzionario,
per l'egemonia, dalla massa 'tumultuosa' all'esercito disciplinato coscientemente
alla realizzazione dei fini-obiettivi: la congruità delle strategie
si misura dalla realizzazione operativa di obiettivi immediati e intermedi,
non dall'idea che se ne fa chi la stabilisce. D'altra parte, non
aveva già lavorato Gramsci, su questa base, ai tempi dell''Ordine
Nuovo'? Val la pena riflettere ancora, da questa prospettiva, su uno dei
passi più giustamente celebri del Q.12 scritto nel 1932 ('Per
la storia degli intellettuali' ):
"Nel mondo moderno l'educazione tecnica, strettamente legata al lavoro industriale anche il più primitivo o squalificato, deve formare la base del nuovo tipo di intellettuale. Su questa base ha lavorato l' 'Ordine Nuovo' settimanale per sviluppare certe forme di nuovo intellettualismo e per determinarne i nuovi concetti, e questa non è stata una delle minori ragioni del suo successo, perchè una tale impostazione corrispondeva ad aspirazioni latenti e era conforme allo sviluppo di forme reali di vita. Il modo di essere del nuovo intellettuale non può più consistere nell'eloquenza, motrice esteriore e momentanea degli affetti e delle passioni, ma nel mescolarsi attivamente alla vita pratica, come costruttore, organizzatore, 'persuasore permanentemente' perchè non puro oratore - e tuttavia superiore allo spirito astratto matematico; dalla tecnica-lavoro giunge alla tecnica-scienza e alla concezione umanistica storica, senza la quale si rimane 'specialista' e non si diventa 'dirigente' (specialista+politico)."
Dall'astrazione logica, dall'interpretazione, alla trasformazione rivoluzionaria reale, concreta, in un' attualizzazione tutta operativa del Marx dell'XI glossa a Feuerbach. E in un'estrema attualizzazione della lezione leninista e dell'Ottobre, rivendicata e costruita nel periodo ordinovista così come in quello carcerario, vero 'pendant' dell'intera riflessione gramsciana nei suoi aspetti organici: e organizzazione non è dato sociologico (o meramente sociologico) se ritorna in più luoghi come funzionale alla produzione e alla 'società regolata', regolazione della produzione e dell'economia:
"Gramsci condivide entusiasticamente - anche per il suo antigiacobinismo giovanile - l'idea leniniana secondo cui la costruzione del socialismo può avvenire solo attraverso la partecipazione attiva e consapevole delle masse, di tutti i lavoratori, e non per opera di gruppi ristretti. (..) Gramsci assume anche, pienamente e fino in fondo, l'affermazione, che corre drammaticamente, enfatizzata dalla pressione dell'emergenza, lungo tutto lo scritto leniniano, secondo cui il nuovo Stato è, prima di tutto, organizzazione e riorganizzazione dell'economia: senza tale organizzazione economica il potere del proletariato rischia di essere travolto. E' a partire da questa nuova consapevolezza del ruolo fondamentale dell'organizzazione della produzione e dell'economia che nel periodo ordinovista (1919/20) Gramsci proporrà con forza estrema, e, in alcuni momenti, con estrema unilateralità, l'idea della produzione come momento fondante della sovranità." [A.Catone,1995]
L'organizzazione per Gramsci, che non rifiuta la modalità con
cui vanno strutturandosi i partiti comunisti sul modello dell'esperienza
bolscevica, modello poi piegato alle esigenze staliniane a livello internazionale,
è metodo e sistema, che si sostanzia di una forte
volontà condivisa e di un progetto condiviso, nel partito comunista
espresso con la linea politica e l'adesione cosciente ricercata intorno
ad essa. Ma metodo e sistema, non devono rimandare alla coercizione
senza consenso, cioè al principio d'autorità che crea scolastici
dogmatici tra l'altro completamente insussistenti nell'azione pratica.
Metodo
e sistema sono la via alla massima libertà e alla creatività
di una disciplina che è tutt'altro che ottusa, 'supino accoglimento
di ordini', ma coscientemente appresa e applicata è punto dirimente
nel lavoro di massa e di partito, in cui marxianamente l'educatore deve
essere educato. Anche per la disciplina, e di rimando verso l'organizzazione
di tipo centralista del partito, che però si sviluppa in senso squisitamente
democratico, non vale l'astrattezza della formulazione, ma la sua sperimentazione
attiva. Volendo schematizzare: se la linea politica è sbagliata,
oppure non trova verifica nell'applicazione operativa, il centralismo funziona
come burocratismo verticistico che rende l'intero organismo degradato e
ammazza la democrazia. Per Gramsci, la sua coerenza anche in carcere lo
dimostra, non c'è disciplina coatta che possa fermare il pensiero
creativo. E il marxismo, il leninismo, l'deologia e la prassi proletaria
e rivoluzionaria, o sono creativi o non sono affatto.
Dall’elaborazione gramsciana alla prassi dei comunisti italiani e l’esperienza di Pietro Secchia
Il partito è educatore collettivo, luogo di formazione orientato all'azione e non in senso ideologicamente pedagogico, se postuliamo il rapporto educativo modo di essere dell'ideologia, ma nel senso più pregnante di luogo ove forgiare gli strumenti per l'analisi di classe e una prassi storicamente efficace, in quanto rivoluzionaria. Ed è l'analisi guidata da princìpi che sostanziano i fini (con obiettivi di breve, medio e lungo periodo), che può rendere lo strumento duttile, flessibile e creativo, in una connessione stretta tra tattica e strategia, con un'intelligenza collettiva creativa, appunto, che non è mai opportunismo. Già il 2 luglio del 1925 Gramsci annotava in un fondo dell'Unità che "il compagno Lenin ci ha insegnato che per vincere il nostro nemico di classe, che è potente, che ha molti mezzi e riserve a sua disposizione, noi dobbiamo sfruttare ogni incrinatura nel suo fronte e dobbiamo utilizzare ogni alleato possibile. (..)". Non la setta passiva autogratificante, dunque, ma un organismo di massa caratterizzato da disciplina liberamente scelta, in cui la necessità è vincolo per la libertà:
" Come deve essere intesa la disciplina, se si intende con questa parola un rapporto continuato e permanente tra governati e governanti che realizza una volontà collettiva? Non certo come passivo e supino accoglimento di ordini, come meccanica esecuzione di una consegna (..) ma come una consapevolezza e lucida assimilazione della direttiva da realizzare. La disciplina limita l'arbitrio e l'impulsività irresponsabile, per non parlare della fatua vanità di emergere (..) La disciplina è un elemento necessario di ordine democratico, di libertà." [A.Gramsci, Q.14]
Se l'unità politica del/nel partito è il prodotto dell'organizzazione
materiale della classe e dei suoi alleati verso gli obiettivi della sua
reale liberazione (che è l'emancipazione definitiva dalle catene
dello sfruttamento capitalistico) e dell'unitarietà dell'analisi
scientifica della società, dei suoi movimenti, della sua struttura,
del suo processo complessivo, allora anche i tentativi della classe borghese
dominante di 'sovversivismo dall'alto' e di 'rivoluzione passiva', troveranno
il suo antagonista irriducibile nell'organizzazione strutturata del partito
comunista, come partito rivoluzionario, di classe e di massa.
L'elaborazione gramsciana permette al concetto di organizzazione
di uscire dalle secche del sociologismo borghese e di ancorarsi al modello
di formazione e sviluppo del partito comunista: questo perde tuttavia il
suo alone metafisico, di totem fideistico a cui tutto delegare/sacrificare,
se lo si ricongiunge alla sua genesi di strumento-azione, organizzazione
dell'antagonismo di classe, quando, in breve, il partito si fa attraversare
e attraversa le regioni della lotta di classe in funzione propulsiva, attiva,
funziona da avanguardia delle masse popolari (perchè è il
tramite tra la classe e il popolo), le disciplina coscientemente in rapporto
al rafforzamento stesso della coscienza di classe dei quadri (e la coscienza
di classe si rafforza tra le masse, perchè è tra le masse
che si genera la lotta di classe, diretta dalla classe operaia e
dai produttori salariati). Insomma, seguendo uno schema metodologico-didattico,
posto che:
TATTICA+STRATEGIA=LINEA POLITICA;
ORGANIZZAZIONE INTERNA=CENTRALISMO DEMOCRATICO
(che perde però di senso se non è intimamente connesso
con la proiezione e verifica esterne, antivirus dell'opportunismo e del
carrierismo burocratico),
Questo schema, mai esplicitato in questa forma naturalmente nella più
complessa e articolata riflessione gramsciana, da cui comunque lo si evince,
è certamente all'interno della tradizione terzinternazionalista,
sebbene assolutamente fuori delle sue degenerazioni, che non sono le stesse,
per intendersi, di quelle denunciate in modo strumentale e paradossale
dalla cultura borghese. E' lo schema di riferimento e di lavoro organizzativo
anche di Pietro Secchia, che cercherà, nelle maglie di una tattica
e di una strategia politica (la 'linea') da lui condivisa ma non scelta
(nella rottura/continuità tra il partito semiclandestino e clandestino
al 'partito nuovo' della 'svolta di Salerno') di renderlo operativo negli
anni che vanno dall'immediato dopoguerra (1945) agli anni della sua emarginazione
politica dal Partito Comunista Italiano guidato da Palmiro Togliatti (1954),
nel periodo cioè in cui il dirigente comunista di Biella è
alla guida del settore 'Organizzazione', uno dei più potenti nella
tradizione dei comunisti non solo italiani. Secchia conosce poco l'elaborazione
gramsciana (anche se proprio in quegli anni avrà modo di rifletterci
sopra in progressione con la pubblicazione dell'edizione 'togliattiana'
dei 'Quaderni dal carcere'), anche se si è formato ed è stato
profondamente influenzato dai suoi scritti dell''Ordine Nuovo' (nelle sue
ricostruzioni storiche, infatti, come ad esempio nell'opera Le armi
del fascismo, pubblicata da Feltrinelli nel 1971, abbondanti sono le
citazioni del Gramsci ordinovista, quasi del tutto assenti quelle dei 'Quaderni').
L'esperienza prerequisita di Secchia, nel 1945, è quella del combattente
proletario e del dirigente nella Resistenza di matrice comunista; se Engels
aveva studiato appassionatamente l'arte militare (dunque un importante
settore dell'arte dell'organizzazione), Secchia cerca di fare diretta esperienza
di essa seguendo il motto di Luigi Longo, combattente nelle brigate internazionali
di Spagna, che 'il moto si apprende camminando'. Anche Secchia studia
in carcere e al confino l'arte militare, ma per lui ha la stessa influenza
che ha per Gramsci la lettura del 'teorema delle proporzioni definite'
di M.Pantaleoni: spunti di riflessione teorica, ma ciò che conta
è la sperimentazione e verifica concreta, è la concreta prassi
rivoluzionaria. Ed in lui così si fondono, mirabilmente, le lezioni
di Engels, di Lenin e di Gramsci, proprio sulla concretissima arte dell'organizzazione.
Ed è vera e propria arte, sia in senso classico che moderno, in
quanto, se organizzazione è concetto che, come s'è scritto,
rimanda a metodo e sistema, il concetto di arte rimanda non ad una meccanica
esecuzione stereotipata di leggi e principi fissi, ma ad una creatività
soggettiva che rende lo strumento organizzativo flessibile, flessibile
perchè e in quanto aderente alla realtà sociale e storicamente
determinata; aderente e adeguata, l'organizzazione mira a modificare la
realtà, marxianamente, non ad interpretarla o solo ad interpretarla,
ne è condizionata, ma non si piega ad essa diluendosi, dileguandosi,
ciò che è, al contrario, funzionale all'opportunismo deteriore
e all'annacquamento dei princìpi.
scrivete a linearossa@virgilio.it
ritorna al sommario del nr.17 (ottobre-novembre 2000)